Recital 2023

 

 

Recital del 29 maggio 2023

Aula Pacis Uptel - Latina

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 Gli Interpreti della 'Bottega dei Poeti"

Susi Capra - Il Prologo e l'Epilogo

Pio Maria Franco - Il primo Narratore

Stellio Cellerino - Il secondo Narratore

Graziella Ricasoli - La Narratrice

Danilo Fretta - Il Telegrafista e Franz

Vivaldo Siciliano - Il Federale e Tunin

Enrico Monti - Zio Cesare e un Poeta

Massimo Maggi - Franco

Maria Tallerico - Giusia

Paola Spagnol - La Mora e una Poetessa

 con

Anselmo Nalli (Sax)

Giuseppe Berretta (Regia)

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Prologo

 La memoria è le scrigno dell’anima.

Il cuore custodisce i ricordi e li conserva, come margherite preziose,

perché siano un giorno eredità viva dei figli e delle generazioni che verranno.

L’amore resisterà finché vivranno i ricordi.

 Questa, di Franco Arimaldi,  è una rapsodìa di memorie.

Ancora bambino, lui,  figlio di un “Esodo in Patria”,  trascorre sulle onde del ricordo

le indimenticate immagini degli anni dell’infanzia,

 immagini crude e violente, vissute tra la realtà e il sogno,

stemperate ora nei colori della nostalgia e del rimpianto per la giovinezza lontana.

 E la rapsodìa diviene canto, il racconto epica.

Dalle storie narrate, emergono nitide ombre:

lo  zio Cesare, il vecchio Barbarigo, Giulia, il tenente Franz e Giuliana,

mamma Rosa, la levatrice Elisabetta, Domenico, Tunin e la sua Mora …

 Di essi sentiamo appena il tenue sospiro:

ci chiedono a aspettano ancora da noi

la dolce carezza del ricordo.

 

[Sax:  “Les feuilles mortes ”Rit.]

 

 1

LITTORIA

 I  Narratore  -  Il Telegrafista

 

I  NARRATORE

Nella zona del QUADRATO, dove un anno dopo venne edificata LITTORIA, fu iniziata l'opera di disboscamento e di dicioccatura con cariche di esplosivi per le radici più resistenti. Le carbonaie emanavano un fumo acre per tutta la zona. Dopo fu eseguita l’operazione di dissodamento e di aratura, con le grandi trattrici Pavesi e le possenti macchine a vapore inglesi FOWLER.

Le famiglie coloniche venivano selezionate nelle province ad alta presenza demografica e ad alto livello di disoccupazione. Si trattava per lo più di braccianti provenienti dal Veneto e dall'Emilia Romagna.

Secondo le intenzioni di Mussolini - il DUCE - sull'intera area redenta dovevano sorgere piccoli agglomerati urbani, i ‘borghi’, destinati ad offrire i servizi di approvvigionamento ai coloni sparsi sul territorio. Quando il 30 giugno del ‘32, si svolse la cerimonia della posa della prima pietra di "LITTORIA", il Duce non partecipò, ma inviò all'On. Cencelli il seguente telegramma:

IL TELEGRAFISTA

“TUTTA QUELLA RETORICA - A PROPOSITO DI LITTORIA SEMPLICE COMUNE E NIENTE AFFATTO CITTÀ - EST IN ASSOLUTO CONTRASTO CON POLITICA ANTIURBANISTICA DEL REGIME STOP. - ANCHE CERIMONIA POSA PRIMA PIETRA - EST RELIQUATO D'ALTRI TEMPI - STOP - NON TORNARE PIÙ' SULL'ARGOMENTO STOP”.

 I  NARRATORE

Quando il Duce si accorse che gli occhi e le attenzioni di tutto il mondo erano rivolte con ammirazione alla grande opera che si stava realizzando, cambiò opinione.  Appena 5 mesi e 18 giorni dopo, il 18 dicembre del 1932, con grande enfasi, veniva inaugurata la città di LITTORIA!

[Sax:  “Inno a Roma” Strofa+Rit.]

 

 2

ZIO CESARE

 I  Narratrice - Il Federale -Zio Cesare

 

LA NARRATRICE

Zio Cesare, appena tornato dalla Francia dove era emigrato, fu protagonista di un episodio che fece scalpore e finì sui giornali. Zio Cesare era un anarchico convinto, e non sopportava il regime fascista. Diceva di essere uno spirito libero e nessuno doveva imporgli una qualsiasi ideologia. Un giorno fu convocato dal federale, il gerarca fascista di Pontinia, e accompagnato al suo ufficio da due sgherri in camicia nera. L'interrogatorio non fu dei più democratici.

FEDERALE - Cesare Paronesso, come mai sei rientrato in Italia? Non stavi bene in Francia, con i tuoi compagni comunisti?

ZIO CESARE - lo - non sono mai stato comunista.

FEDERALE - E cosa sei venuto a fare in Italia?  - …  A sobillare l'ordine pubblico?

ZIO CESARE- Io non sobillo un bel niente.  La mia famiglia è venuta dal Veneto nell’Agro Pontino,  e io l'ho raggiunta.

FEDERALE - Ma tu lo sai chi è stato a concedere il podere e la terra alla tua famiglia? Il regime Fascista con a capo il DUCE, brutto ingrato!  Guarda che noi ti conosciamo bene: in giro corre voce che tu hai in testa idee anarchiche. Ora, per dimostrare la tua buona volonta’, ti iscrivi al partito Fascista nella sezione di Pontinia, e noi ti rilasciamo la tessera di camerata.

ZIO CESARE - Signor Federale, io non ho niente contro il partito fascista, ma non mi piacciono le imposizioni. E non voglio avere nessuna tessera.

FEDERALE - Ah, e’ cosi’ ?...  Allora confermi che sei un disfattista, brutto traditore! Intanto adesso ti sbatto in galera, dove ti daremo un bel bicchiere di olio di ricino per ripulirti di tutte le tue velleita’  anarchiche. Poi, quando avrai abbassato le penne… si vedra’ !

ZIO CESARE - Ma con quale accusa lei mi mette in prigione, io non ho fatto male a nessuno.

FEDERALE - Rifiutando la tessera, hai fatto del male al partito Fascista e al DUCE! - Portatelo via! ...

LA  NARRATRICE

Così zio Cesare dovette farsi trenta giorni di galera, dopo avere ingoiato a forza il lassativo promesso, per avere rifiutato la tessera del partito. - A quell’epoca, tutti dovevano essere iscritti al partito Fascista. Chi si rifiutava, veniva segnalato e controllato a vista. Bastava un niente per finire in galera o addirittura al confino. Scaduti trenta giorni il federale - fatte eseguire le opportune indagini - si rese conto che Cesare Paronesso era un valido muratore-carpentiere, e che comunque non aveva frequentazioni sospette. Così, dopo una ennesima ramanzina, decise di metterlo in libertà. 

Ma la tessera del partito Fascista, Cesare Paronesso non la prese!  - Era l'estate del 43.

[Sax:  “Solo me ne vo’ per la città” Strofa]

 

3

BARBARIGO

 II  Narratore  -  Franco

 

II  NARRATORE

Provenivano da un paese dell'alto Veneto ai confini con il Friuli. Anche a loro era stato assegnato un podere con quasi 18 ettari di terra, gli attrezzi per lavorarla e la stalla con il bestiame. Barbarigo era un vecchio fiero, con un cappello da alpino sempre in testa e una pipa di terracotta, con bocchino lungo, sempre in bocca o in mano. Aveva un grande carisma: tutti - la moglie, i figli, i nipoti - lo rispettavano e gli obbedivano dandogli del voi. In gioventù era emigrato in Germania, dove per molti anni aveva lavorato nelle miniere della Rur dove si estraeva il carbone. Qualche volta parlava dei suoi compagni, costretti a lavorare In cunicoli stretti e bui a centinaia di metri sotto terra dove, a parte la fatica massacrante, il pericolo più grave era il grisù, un gas che alla più piccola scintilla, esplodeva mietendo centinaia di vittime. Dopo anni di permanenza più di 8-10 ore al giorno a contatto con la polvere di carbone, molti si ammalavano di silicosi. Barbarigo era riuscito a salvarsi e, dopo 10 anni di duro lavoro, anche se con i polmoni compromessi, era tornato in Italia. E parlava correttamente il Tedesco.

 FRANCO

Quando mio nonno e i suoi familiari raggiunsero il podere di Barbarigo, dove dovevano trovare alloggio per qualche tempo, seppero che il podere era stato tutto occupato da una ventina di famiglie provenienti dai paesi limitrofi, Pontinia, Terracina, S. Felice. Si erano accampate un po' dappertutto: sotto il portico, nella stalla, nei porcili, nei fienili, dovunque ci fosse un riparo. Quindi per la famiglia di mio nonno non cera più posto. Bisognava spostarsi verso un altro podere, un paio di chilometri di la del fiume Sisto. Ma il vecchio Barbarigo ebbe compassione di mia madre, che era incinta e prossima al parto, e diede disposizioni perché fossimo ospitati in casa loro, in una stanza al primo piano adiacente alla cucina. Quando passavamo di là per ritirarci nella nostra stanza, sentivamo il delizioso odore del pane che si stava cuocendo nel forno. Il sapore e il profumo del pane appena sfornato, per la fame che avevamo, ci sembrava straordinario. Avevamo anche noi il nostro pane che ci lasciavano cuocere nel loro forno. Ma per lo più, era pane sciapo.

A voi potrà sembrare strano, ma la cosa che mancava di più, allora, era il sale: non se ne trovava, neanche a barattarlo con l'olio o la farina, e neppure con la carne. Mio padre, stanco di mangiare sciapito, un giorno si avviò verso il mare, distante solo qualche chilometro, col carretto trainato dal mulo, per riempire alcuni recipienti di acqua salata. Rischiò grosso, perché avrebbe potuto incrociare una pattuglia tedesca, o essere fatto bersaglio degli aerei americani che sparavano su chiunque. Fu l'unica volta che azzardò l’impresa; poi, resosi conto del pericolo, non ci provò più.

[Sax:  “Come pioveva” Rit.]

 

4

GIULIA

 Franco  -  Giulia  -  Teresina

 

 FRANCO

Giulia - figlia di una famiglia proveniente da San Felice, ospitata come noi da Barbarigo - era una ragazzina già alta per la sua età, magra, con i capelli castani raccolti in due treccine lunghe che le scendevano sul petto, fra due seni appena emergenti, segni della sua pubertà in fiore. Il volto dolce ma scarno, e due grandi occhi vivaci da cerbiatta.

Teresina, la nipotina di Barbarigo, col suo visetto roseo e rotondo e il fisico bene in carne, mostrava di non patire la fame.                                                            

La famiglia di Giulia non aveva molte risorse: si contentavano di erbe bollite, pane di sorgo, uova rimediate qua e là, e patate americane trovate lungo le scoline. Il pomeriggio, quando mia madre preparava la merenda per me e mia sorella Lilli - una fetta di pane con un po' di olio e zucchero, o marmellata fatta in casa - noi di nascosto andavamo dietro il fienile dove dividevamo la nostra merenda con Giulia.

Qualche volta, ci veniva anche Teresina, e divideva con Giulia la sua merenda assai più ricca e abbondante. Giulia diceva che da grande avrebbe fatto la cuoca, così almeno avrebbe mangiato tutti i giorni a sazietà.

Spesso si giocava tutti insieme a nascondino. Si faceva la conta, e chi risultava destinatario del numero prestabilito si metteva alla tana - faccia al muro e occhi chiusi - e contava fino a 50, mentre tutti gli altri andavano a nascondersi. Finita la conta, chi era stato in tana, andava a scovare chi si era nascosto; se lo trovava, correvano entrambi verso la tana, e chi arrivava primo, gridava: “Tanaaa”!

Un giorno, giocando appunto a nascondino, presi per la mano Giulia e la trascinai sotto il forno, dove si metteva la legna da ardere.  Lì, di sicuro, non ci avrebbero trovati.

GIULIA - Perché mi hai portato qui? Ho paura, sotto la legna ci sono i topi.

FRANCO - Non ti preoccupare, i gatti con la fame che si ritrovano, ci hanno pensato loro a fare piazza pulita dei topi.

GIULIA Si’… ma io ho paura lo stesso!

FRANCO  - Tranquilla, vieni vicino a me, ti difendo io da tutto. -    Giulia

GIULIA Si’…

FRANCO  -  Vuoi essere la mia fidanzata?

GIULIA - Franco, tu sei simpatico, ma io sono più grande di te. Perché non ti metti con Teresina? Lei ti fa sempre gli occhi dolci, non te ne sei accorto?

FRANCO - No! A me piaci tu, anche se sei piu grande e cosi magra. Stasera ti porto tutta la mia merenda, cosi ti rimetti un po'.

GIULIA - E allora va bene, sono la tua fidanzata. Però non diciamo niente a nessuno, questo sara il nostro segreto.

FRANCO - Quando la guerra sarà finita, verrò a trovarti a San Felice, e fra qualche anno, finita la scuola, troverò un lavoro e ti sposerò.

GIULIA – Eh..., come corri! Ricordati che io ho tre anni più di te, e dopo la guerra chissà cosa succederà ... 

FRANCO - Che m’importa se sei più grande di me, tu mi fai battere il cuore, voglio stare sempre con te … Giulia … Fatti baciare …

TERESINA - Eccovi! Vi ho beccato!!!    E adesso tocca a uno di voi fare la conta fino a cinquanta.

FRANCO

Da quel giorno io e Giulia preferivamo rimanere da soli, suscitando la gelosia di Teresina e il malcontento di mia sorella Lilli.  Io facevo di tutto per portare a Giulia qualcosa da mangiare, e piu di una volta rubavo in casa del cibo perche si sfamasse. Ma lei dimagriva sempre di piu ed era sempre piu triste.

 lo la rincuoravo:   Vedrai Giulia, tutto questo passera e, un giorno, io e te saremo felici insieme …”

 [Sax: “Love is a Many-SplendoredThing”Rit.]

 

5

FRANZ E GIULIANA

 I  Narratore  -  Franz  -  Un Poeta

 

I  NARRATORE

Nel podere 1304 davanti a Casal Traiano, il traffico di camion tedeschi che scaricavano derrate alimentari era intenso. Ogni giorno vi si confezionavano centinaia di pasti che poi venivano portati nella villa dove stanziava un’intera guarnigione di militari tedeschi. Franz, l'ufficiale che dirigeva i lavori, aveva poco tempo da dedicare alla Giuliana dei Paronesso. Ma la sera, quando il lavoro era finito, Franz e Giuliana si ritiravano in una stanza al primo piano e ci restavano fino a tardi. Come tutti gli innamorati, facevano progetti per il futuro scambiandosi promesse di eterno amore.

FRANZ 

La guerra non può durare ancora molto. Il mio paese è destinato a soccombere per la follia di un visionario che ha trascinato la Germania in un conflitto che ha provocato tanti morti e distrutto le nostre città e quelle di mezza Europa. Giuliana, io ti porterò a Monaco, ci sposeremo e vivremo in Germania; ma, in estate, torneremo in Italia, dove i nostri bambini potranno godere questo meraviglioso clima e tuffarsi nel mare qui vicino.

I NARRATORE

La mattina del 29 febbraio del ‘44 è fredda, e il cielo è sgombro da nuvole, tranne alcuni cirri sui monti Lepini. Giuliana Paronesso e la Mora stanno stirando dei panni nel tinello dietro la casa. Rino sta mungendo le mucche, e papà Domenico porta il fieno nella stalla.

Verso le 8 e mezza, davanti al podere, si ferma un camion tedesco con i generi alimentari. Franz e impegnato con i suoi uomini allo scarico delle merci. All'improvviso appare in cielo una cicogna. La cicogna è un piccolo aereo da ricognizione americano che sorvola il territorio per controllare i movimenti delle truppe tedesche. La cicogna fa un paio di giri e se ne va.  Franz si allarma, e ordina ai suoi soldati di scaricare in fretta il camion. Cinque minuti dopo si sente il rombo di alcuni aerei in avvicinamento.

Franz urla: 

FRANZ   -  Tutti al riparo !!!  

I  NARRATORE  - 

Gli  uomini  si  rifugiano  nella  stalla  dietro  le mangiatoie.

Sei aerei, contrassegnati da una grossa stella bianca, cominciano a scendere in picchiata verso il camion tedesco. L’uno dopo l'altro, aprono un fuoco micidiale sul camion e sulla casa vicina. Poi si rialzano, fanno il giro e, di nuovo in picchiata, sputano i loro micidiali confetti. Giuliana e la Mora, nel tinello dietro la cucina, sono terrorizzate. Giuliana grida con tutto il fiato che ha in gola. Domenico Paronesso, alle urla della figlia, corre verso la cucina: pensa di farcela, fra una virata e l'altra degli aerei. Franz gli sta dietro. Ma Domenico, raggiunto dai proiettili al petto e alle gambe, stramazza in un lago di sangue e muore all'istante. Franz, anche lui è ferito gravemente a una spalla e cade a terra. Gli aerei si allontanano.

I soldati tedeschi rimasti illesi coprono il morto con un telo, e provano a chiamare un'ambulanza militare, che arriva poco dopo da Casal Traiano. Franz viene caricato e portato nel vicino ospedale da campo. Occorre un intervento d’urgenza. Ma alcuni organi vitali sono gravemente compromessi, e la speranza di sopravvivenza è scarsa. Franz muore due giorni dopo.

Giuliana, in un solo momento, ha perduto quello che aveva di più caro, il padre, e l’amore che aveva sognato.

 [Sax:  “Lilì Marlen” - Strofa]

 

 LA POESIA  1

Da  ‘Ricordi

Ricordi cupi:

elmetti, croci uncinate,

scoppi di granate.

Fame, paura,

sguardi allucinati,

persone fucilate.

La morte di nonno Domenico

mitragliato dagli aerei alleati

con la stella bianca.

 

La guerra:

nero cavallo dagli occhi di fuoco,

e noi

travolti tutti nel gioco!

 

  [Sax:  Ripresa “Lilì  Marlen” Strofa]

 

 6

LA LEVATRICE ELISABETTA

 La  Narratrice


La  NARRATRICE

Alla fine di aprile del 44 la guerra stagnava sia sul fronte di Cassino che su quello di Anzio. Il 28 sera, Rosetta ebbe le doglie. Bisognava trovare una levatrice. Dopo una inutile ricerca a Borgo Vodice, Vittorio si recò a Sabaudia, dove trovò l'unica levatrice disponibile, Elisabetta Nocentini, che la mattina del 29, in bicicletta, raggiunse Rosetta che partorì Claudio, un bel maschietto di tre chili e mezzo.

La levatrice, attenta e scrupolosa, nonostante i pericoli, tornò dalla puerpera il giorno dopo, per assicurarsi delle sue condizioni dopo il parto.

Tornando a casa in bicicletta, lungo la strada verso Sabaudia, Elisabetta vede spuntare in cielo un aereo con la stella bianca, un aereo americano.

Il pilota si abbassa per accertarsi dei pericoli. E il pericolo, stavolta, è una donna sola che pedala su una strada deserta!  Vira tornando indietro alle spalle del bersaglio e apre il fuoco con una sventagliata di mitra. Ritorna con una seconda virata per assicurarsi di aver fatto fuori il nemico: vede la donna a terra in una pozza di sangue con la bicicletta a fianco, e se ne va via. Missione compiuta!

Oggi il nome della coraggiosa levatrice Elisabetta Nocentini, caduta nell'adempimento del proprio dovere, resta inciso sul monumento ai Caduti nel parco di Sabaudia.

[Sax:  “Summertime” Strofa]

 

 7

ADDIO GIULIA!

 Franco  -  Giulia

 

FRANCO

Giulia - si era improvvisamente sentita male ed era stata portata presso il centro medico. Mi era sembrato un malessere da poco, che in pochi giorni sarebbe passato. Ma la febbre alta di Giulia era tifoide e, in un organismo tanto debilitato, la malattia si presentava fortemente aggressiva. Le fu assegnata una dieta specifica e riposo assoluto. Non appena rientrarono al podere, i genitori raccolsero le poche masserizie che avevano, e con un carro trainato da un somaro, tornarono a S. Felice.

Andai a trovare Giulia, accompagnato da mio padre. Al suo capezzale, dove giaceva smunta e febbricitante, le presi una mano, e le promisi che appena guarita, sarei tornato a trovarla. Non sapevo come, ma le giurai che in qualche modo l'avrei raggiunta. Lei mi guardo con i suoi occhi grandi e lucidi, e mi sussurro:

GIULIA - Sei un ragazzo buono, Franco. Non ti scordare mai di me. Non ti dimenticare della tua Giulia

FRANCO - No Giulia, non ti dimentico  Anzi, appena sarai guarita, staremo sempre insieme sempre! sempre

E le baciai la guancia che bruciava per la febbre.

Me ne andai via di corsa, per non farle vedere le mie lacrime e udire i miei singhiozzi.

Nonostante i tentativi di salvarla, il fisico di Giulia non resse all'aggressione della malattia e, proprio quando si ricominciava a vivere, lei se ne ando, lasciandoci tutti con un gran vuoto nell'anima.

No, Giulia! Non mi scordero  mai di te.

[Sax:  “Non ti scordar di me” Rit.]

LA POESIA  2

                             ‘Aprile’

Aprile,

corro lungo la duna

in riva al mare,

il cielo è terso,

il sole è caldo,

come la speranza mia

di esorcizzare il tempo,

che mi consuma,

che tutto consuma.

 

All'improvviso,

sui cespugli si posa

una quaglia, sfinita.

Ha attraversato il mare,

la raccolgo

è calda e morbida.

Mi guarda con occhi stanchi,

tento di rianimarla,

ma è inutile,

piega il capino e muore.

Mi si stringe il cuore.

 

Questa piccola quaglia

ha conosciuto continenti

mari e cieli aperti,

ha volato libera

nell' aria celeste e bruna

di quattro stagioni.

Non è vissuta

come un canarino in gabbia

privo di orizzonti lontani.

 

Anch'io avrei voluto vivere

libero come te,

e poi morire come te.

 

Ma il destino

mi ha tarpato le ali,

e vivo

come un canarino

in gabbia.

 

[Sax:  “Guarda che luna” Strofa]

 

8

IL TUNIN E LA MORA

 II Narratore  -  Tunin  -  La Mora

 

II NARRATORE

Dopo l'otto settembre, e l’armistizio, a guerra finita, il ritorno a casa dei soldati fu un calvario. Accompagnati con un camion ai confini con la Germania, i combattenti prigionieri dei Tedeschi, ormai liberati dagli Americani, furono rilasciati in una zona controllata dalle forze alleate. Da lì, ognuno provò ad arrangiarsi per tornare a casa, avventuralunga, difficile, e piena di imprevisti.

Quando Tunin arrivò, stremato e felice, tutti si congratulavano con lui per il coraggio e la forza d'animo dimostrata.Tunin si diede a ringraziare i parenti per avere ospitato in famiglia, durante lo sfollamento, la madre, e Morala moglie.

Qualcunodei parenti, però, insinuava che la Mora non aveva mantenuto un comportamento proprio decoroso mentre il marito era in guerra.La morale, allora, era piuttosto severariguardo alle donnei cuimariti al fronte, esposti a mille pericoli.Di fronte a queste insinuazioni Tunin,pallido e fremente di rabbia, urlava:

TUNIN -Disgraziata! La caccerò di casa! … Subito! Perché Tunin il tradimento non lo sopporta! Non lo sopporta, e non lo sopporta!

II NARRATORE- La sera tardi, quando furono soli in camera da letto, Tunin infuriato sbraitò permezza nottata,strapazzandola Mora con insulti minacce ed improperi. Lei - giurando e spergiurando - si disperava e negava tutto…

LA MORA - Non è vero! Non è vero … No, non è vero! Sono solo le malelingue! E’ l’invidia che le fa parlare! Io non ho fatto niente di male, mai niente di male! Lo giuro, e possa morire all’istante se non dico la verità! …

II NARRATORE-… E Tunin, che in fondo amava la moglie, e ne era stato a digiuno per tanto tempo, credette a lei e se la tenne, rompendoi rapporti per un certo tempo con quei parenti che, a suo dire,avevano osato dubitaredella Mora, rimastagli sempre fedelissima!

[Sax:  “Non ti fidar di un bacio a mezzanotte” Rit.]

 

9

LA NUOVA PRIMAVERA

 I  Narratore  -  Franco


INARRATORE

Divertimenti a quei tempi non ce nerano, salvo le giostre che stanziavano nel largo presso piazza Dante. Gli altoparlanti diffondevano canzonette come: Dove sta Zaza, Solo me ne vo per la citta, e altre in voga.  La domenica, quando si rimediava qualche lira, si andava insieme al cinema. Al cinema dell'Aquila si esibivano anche compagnie di avanspettacolo con personaggi assai noti come Bianca del Campo, Beniamino e Dante Maggio, e cantanti napoletani coraggiosi e poco intonati. Si esibivano anche corpi di ballo con cinque o sei ragazze: trucco pesante, gambe nude e seni coperti solo da due stelline sui capezzoli.

FRANCO

Noi ragazzi, che cominciavamo a sentire i primi pruriti di una sessualitàche si svegliava, facevamo del tutto per andare ad assistere a questi spettacoli. Per rimediare le poche lire per il biglietto dingresso, si andava in cerca di rottami di ferro vecchio, rame, ottone, alluminio, che si riusciva a trovare fra i residuati bellici nei dintorni, erivenderlo ai robivecchi.

lo avevo trovato un piccolo tesoro. Nel cantiere del Consorzio dove era ubicata la baracca che abitavamo, dopo avere praticato un buco nella rete divisoria, avevo scoperto abbandonato assieme ad altri oggetti in disuso, un grosso cavo di rame di diversi metri rivestito da una guaina di gomma, che era servito a dare corrente agli escavatori. Rimediato un seghetto di ferro, ogni settimana ne tagliavo un pezzo di circa 40 centimetri, quasi un chilogrammo di rame. La sera poi, quando andavo a letto dopo lavanspettacolo dellAquila, al ricordo di quelle gambe nude e di quei seni prorompenti, potete immaginare come tutti i salmi finissero in gloria!

[Sax:  “Ma le gambe” Strofa]

Allora, frequentavo un gruppo di una decina di ragazzi di Campo Boario. Ci incontravamo per giocare a carte, e qualche volta a soldi, ma soprattutto per parlare di sesso e di donne. Cera chi si vantava di avere scopato con Sandra, una che per simpatia o con qualche regalino, la dava facilmente; un altroannunciava che sera fidanzato con Lucia, la bellona del quartiere che, della cosa non ne sapeva niente. Così nascevano i primi amori, le colorate emozioni che, a quelleta, regala la primavera, la nostra nuova primavera che ci faceva battere forte il cuore

 [Sax:  “Quelli eran giorni” Rit.]

 

 Epilogo

 … Erano i giorni della primavera,

una stagione sempre antica e sempre nuova.

 Nel cuore

la malinconia dei ricordidolorosi

e l’eco lontana degli affetti perduti …

… E pure, insieme,

lo stupore di scoprirsisopravvissuti, di poter ancora giocare alla vita

liberi, nell’incanto della luce del sole, con gli occhi aperti alla speranza.

 Quelli erano i giorni di una nuova primavera,

rapsodìa di giorni trascorsi

e tuttavia oggi presenti e vivi come ospiti dell’anima

a colorare l’età del crepuscolo

con i delicati pastelli della nostalgia

e della tenera attesa …

 

  [Sax:  “My way”- Sinatra]

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