Antologia del Laboratorio di Lettura




  LA VISPA TERESA



La vispa Teresa
avea tra l’erbetta
A volo sorpresa
gentil farfalletta
E tutta giuliva
stringendola viva
gridava a distesa:
“L’ho presa! L’ho presa!”.


A lei supplicando
l’afflitta gridò:
“Vivendo, volando
che male ti fò?
Tu sì mi fai male
stringendomi l’ale!
Deh, lasciami! Anch’io
son figlia di Dio!”.


Teresa pentita
allenta le dita:
“Va’, torna all’erbetta,
gentil farfalletta”.
Confusa, pentita,
Teresa arrossì,
dischiuse le dita
e quella fuggì.




Questa poesia-filastrocca è di Luigi Sailer. La farfalletta (o La vispa Teresa) apparve la prima volta nella raccolta per bambini “L’arpa della fanciullezza” (1865). Per il grande successo del personaggio, la vispa Teresa fu protagonista di filastrocche, storielle e fumetti scritti da diversi altri autori.


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Quando talor frattanto

forse sebben così

giammai piuttosto alquanto

come perché bensì.



Ecco repente altronde

quasi eziandio perciò

anzi altresì laonde

purtroppo invan però.



Ma se persin mediante

quantunque attesoché

ahi! sempre nonostante

conciosiacosaché.

                                                         (Yorik, Pier Coccoluto Ferrigni)


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 CANZONETTA DEL CUORE CHE SPERA
 

Quando la rondine s'è addormentata
con la testa sotto l'ala,
quando sta zitta la cicala
comincia il grillo la sua serenata.


Quando, spento il sole, bruna
si fa la terra, s'accende la luna.
Giorno e notte, notte e giorno,
c'è una partenza e c'è un ritorno.

E per le strade ove Dio ci conduce
c'è sempre un canto, c'è sempre una luce.

                                                  (Liliana Carelli)


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Dal "LIBRICINO" di C.V. Catullo




Viviamo, amor mio, e amiamo
e ogni mormorio squallido dei vecchi
valga per noi quanto un soldo bucato!

Il giorno muore e poi risorge,
ma quando tramonterà il nostro breve giorno,
una notte infinita dormiremo.

Allora tu dammi mille baci, e poi cento,
quindi dammene altri mille, e poi altri cento,
quindi ancora mille, e quindi cento.

E quando poi saranno mille e mille e mille
nasconderemo il loro vero numero,
perché l’invidioso non getti il malocchio
su un tesoro di baci così grande.

 (Gius., da Quasimodo)

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 Da "LE AVVENTURE DI PINOCCHIO" di C. Collodi
(Incipit)

—  C’era una volta...

—  Un re! — diranno subito i miei piccoli lettori.

—  No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno.


Non era un legno di lusso, ma un semplice pezzo da catasta, di quelli che d’inverno si mettono nelle stufe e nei caminetti per accendere il fuoco e per riscaldare le stanze.


Non so come andasse, ma il fatto gli è che un bel giorno questo pezzo di legno capitò nella bottega di un vecchio falegname, il quale aveva nome Mastr’Antonio, se non che tutti lo chiamavano maestro Ciliegia, per via della punta del suo naso, che era sempre lustra e paonazza, come una ciliegia matura.

(da "Le Avventure di Pinocchio, di C. Collodi - Incipit)

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PIANTO ANTICO




L'albero a cui tendevi
la pargoletta mano,
il verde melograno
Dà bei vermigli fiori
 

Nel muto orto solingo 
Rinverdì tutto or ora, 
E giugno lo ristora
Di luce e di calor. 

Tu fior de la mia pianta 
Percossa e inaridita, 
Tu de l'inutil vita
Estremo unico fior, 

Sei ne la terra fredda,

Sei ne la terra negra;
Né il sol piú ti rallegra
Né ti risveglia amor.



(Giosué Carducci)

 
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Se un giorno mi vedrai vecchio: se mi sporco quando mangio e non riesco a vestirmi ... abbi pazienza, ricorda il tempo che ho trascorso ad insegnartelo.

Se quando parlo ripeto sempre le stesse cose ... non mi interrompere ... ascoltami, quando eri piccolo dovevo raccontarti ogni sera la stessa storia finché tu non ti addormentavi.

Quando non voglio lavarmi, non rimproverarmi e non farmi vergognate ... ricordati quando dovevo correrti dietro inventando delle scuse perché non volevi fare il bagno.

Quando vedi la mia ignoranza per le nuove tecnologie, dammi il tempo necessario e non guardarmi con un sorriso ironico; ho avuto tanta pazienza per insegnarti l'abc.

Quando ad un certo punto non riesco a ricordare, o perdo il filo del discorso ... dammi il tempo per ricordare, e se non ci riesco, non ti innervosire ... la cosa più importante non è quello che dico, ma il mio bisogno di stare con te ed averti lì che mi ascolti.

Quando le mie gambe stanche non mi consentono di tenere il tuo passo, vieni verso di me con le tue mani forti, come io l'ho fatto con te quando muovevi i tuoi primi passi.

Quando dico che sono stanco, e vorrei essere morto ... non inquietarti, un giorno comprenderai che cosa mi spinge a dirlo. Cerca di capire che alla mia età non si vive, si sopravvive.

Un giorno scoprirai che, nonostante i miei errori, ho sempre voluto il meglio per te, che ho tentato sempre di spianarti la strada.

Dammi un po' del tuo tempo, dammi una spalla su cui poggiare la testa, così come io l'ho fatto per te.

Aiutami a camminare, aiutami a finire i miei giorni nell’amore e nella pace: in cambio io ti darò un sorriso e la grande tenerezza che ho sempre avuto per te. Ti voglio bene, figlio mio...

(Anonimo)

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UNA MADRE ALLA GIOVANE FIGLIA




Non ti basto più, lo so.
Ormai i tuoi grandi occhi guardano più lontano, ad un sogno dove io non oso entrare.
Tu sei sulla soglia, e piangi e sorridi, ascoltando musiche che io non odo più.

Piccola mia, fragile amore, sei dunque come i passeri dei nidi?...

Ora sei come il canto di primavera, come la gemma in boccio sul ramo, come la nuvola passeggera, come il mormorio d’una fontana, come uno sguardo di stella.

In te una capricciosa ansia di nuovo, un irrefrenabile desiderio di spremere il succo da ogni foglia, e da ogni affetto in cui germoglia il suo mistero d’immortalità!

Io non ti mostrerò le cicatrici del mio cuore, le rosse ferite che bruciano nelle profondità della mia anima. Anche se lo facessi, tu non fermeresti il tuo passo veloce sulla tua strada…

No. Vivi la tua ora, l’ora che si vive una volta sola.
Piangerai dopo.

Quest’ora divina non ti sia rubata dal muto timore di tua madre!


Da “IL SOGNO” di Ada Negri  (rielaborazione g.b.)


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 IL LAMPO

E cielo e terra si mostrò qual era:

la terra ansante, livida, in sussulto;

il cielo ingombro, tragico, disfatto:

bianca bianca nel tragico tumulto

una casa apparì sparì d'un tratto;

come un occhio, che, largo esterefatto,

s'aprì si chiuse, nella notte nera.




 IL TUONO

E nella notte nera come il nulla,

a un tratto, col fragor d'arduo dirupo

che frana, il tuono rimbombò di schianto:

rimbombò. rimbalzò, rotolò cupo,

e tacque, e poi rimareggiò rinfranto,

e poi vanì.  Soave allora un canto

s'udì di madre, e il moto d'una culla.

 (da Myricae, di Giovanni Pascoli)




   ORFANO


   Lenta la neve fiocca, fiocca, fiocca.
   Senti: una zana dondola piano piano.
   Un bimbo piange, il piccol dito in bocca;
   Canta una vecchia, il mento sulla mano.
   La vecchia canta: intorno al tuo lettino
   C'è rose e gigli, tutto un bel giardino.
   Nei bel giardino il bimbo si addormenta
   La neve fiocca lenta, lenta, lenta.
   (da Myricae, di Giovanni Pascoli)

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SIGNORINELLA



Signorinella pallida
dolce dirimpettaia del quinto piano,
non v'è una notte ch'io non sogni Napoli
e son vent'anni che ne sto lontano.
Al mio paese nevica,
il campanile della chiesa è bianco,
tutta la legna è diventata cenere,
io ho sempre freddo e sono triste e stanco.
Amore mio, non ti ricordi
che nel dirmi addio
mi mettesti all'occhiello una pansè
poi mi dicesti con la voce tremula:
Non ti scordar di me.

Bei tempi di baldoria,
dolce felicità fatta di niente.
Brindisi coi bicchieri colmi d'acqua
al nostro amore povero e innocente.
Negli occhi tuoi passavano
una speranza, un sogno e una carezza,
avevi un nome che non si dimentica,
un nome lungo e breve: Giovinezza.
Il mio piccino,
in un mio vecchio libro di latino,
ha trovato - indovina - una pansè.
Perché negli occhi mi tremò una lacrima?
Chissà, chissà perché!

E gli anni e i giorni passano
eguali e grigi con monotonia,
le nostre foglie più non rinverdiscono,
signorinella, che malinconia!
Tu innamorata e pallida
più non ricami innanzi al tuo telaio,
io qui son diventato il buon Don Cesare,
porto il mantello a ruota e fo il notaio.
Lenta e lontana,
mentre ti penso, suona la campana
della piccola chiesa del Gesù,
e nevica, vedessi come nevica:
Ma tu, dove sei tu. 
(Versi di Libero Bovio, musicati da Nicola Valente - 1928)


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L'INFINITO
 (autografo di Leopardi)

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TESTI D'AUTORE

per il recital

"Concerto in contrappunto" 
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 Da Emily Dickinson

Un sépalo ed un petalo e una spina
In un mattino come tanti altri  -
Un fiasco di rugiada – un’ape, o due api –
una brezza – una capriola tra gli alberi –
Ed io divenni una rosa.


 IL RICORDO
(Juan Ramon Jmenez)

Come dune d’oro
che vengono e vanno, sono i ricordi.
Il vento li porta via, e stanno
là dove una volta sono nati.
Dune d’oro.
Lo riempiono tutto il mare,
colmo d’oro ineffabile,
intriso di vento.
Ricordi, che in una notte,
all’improvviso risorgete,
come una rosa in un deserto,
come una stella a mezzogiorno …
inattesa meraviglia
di un’unica primavera,
aurora bambina
che culli senza fine il tramonto.
Ed io sarò come l’onda
del fiume del ricordo,
con te, acqua che scorre!...



 LA MADRE –
(Giuseppe Ungaretti)

E il cuore quando d'un ultimo battito
avrà fatto cadere il muro d'ombra
per condurmi, Madre, sino al Signore,
come una volta mi darai la mano.

In ginocchio, decisa,
Sarai una statua davanti all'eterno,

Alzerai tremante le vecchie braccia,
come quando spirasti
dicendo: Mio Dio, eccomi.

E solo quando m'avrà perdonato,
ti verrà desiderio di guardarmi.

Ricorderai d'avermi atteso tanto,
e avrai negli occhi un rapido sospiro.


  SI STA
(Giuseppe Ungaretti)

Si sta come
d'autunno
sugli alberi
le foglie


 Da IL SABATO DEL VILLAGGIO
(Giacomo Leopardi)

Siede con le vicine
su la scala a filar la vecchierella,
incontro là dove si perde il giorno;
e novellando vien del suo buon tempo,
quando ai dí della festa ella si ornava,
ed ancor sana e snella
solea danzar la sera intra di quei
ch'ebbe compagni nell'età piú bella.

Già tutta l'aria imbruna,
torna azzurro il sereno, e tornan l'ombre
giú da' colli e da' tetti,
al biancheggiar della recente luna.
Or la squilla dà segno
della festa che viene;
ed a quel suon diresti
che il cor si riconforta.
 

 
 LA QUERCIA CADUTA  
(Giovanni Pascoli)


Dov'era l'ombra, or sé la quercia spande
morta, né più coi turbini tenzona.
La gente dice: Or vedo: era pur grande!
Pendono qua e là dalla corona
i nidietti della primavera.
Dice la gente: Or vedo: era pur buona!
Ognuno loda, ognuno taglia. A sera
ognuno col suo grave fascio va.
Nell'aria, un pianto… d'una capinera
che cerca il nido che non troverà.


 X  AGOSTO
(Giovanni Pascoli)


San Lorenzo , io lo so perché tanto
di stelle per l'aria tranquilla
arde e cade, perché si gran pianto
nel concavo cielo sfavilla.
Ritornava una rondine al tetto :
l'uccisero: cadde tra i spini;
ella aveva nel becco un insetto:
la cena dei suoi rondinini.
Ora è là, come in croce, che tende
quel verme a quel cielo lontano;
e il suo nido è nell'ombra, che attende,
che pigola sempre più piano.
---
E tu, Cielo, dall'alto dei mondi
sereni, infinito, immortale,
oh! d'un pianto di stelle lo inondi
quest'atomo opaco del Male!

 
  da Eugenio Montale


Cigola la carrucola del pozzo
l'acqua sale alla luce e vi si fonde.
Trema un ricordo nel ricolmo secchio,

Accosto il volto a evanescenti labbri:
si deforma il passato, si fa vecchio,
appartiene ad un altro...

Ah che già stride
la ruota, ti ridona all'atro fondo,
visione, una distanza ci divide. 
....



 UOMO DEL MIO TEMPO
 (Salvatore Quasimodo)
  
Sei ancora quello della pietra e della fionda,
uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,
con le ali maligne, le meridiane di morte,
t’ho visto – dentro il carro di fuoco, alle forche,
alle ruote di tortura. T’ho visto: eri tu,
con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,
senza amore, senza Cristo.
Hai ucciso ancora,
come sempre, come uccisero i padri,
come uccisero
gli animali che ti videro per la prima volta.
E questo sangue odora come nel giorno
Quando il fratello disse all’altro fratello:
«Andiamo ai campi». E quell’eco fredda, tenace,
è giunta fino a te, dentro la tua giornata.

  da Giuseppe Ungaretti

Cristo, pensoso palpito,
Astro incarnato nell’umane tenebre,
Fratello che t’immoli
Perennemente per riedificare
Umanamente l’uomo,
Maestro e fratello e Dio che ci sai deboli,
Santo, Santo che soffri
per liberare dalla morte i morti
e sorreggere noi infelici vivi,
d’un pianto solo mio, non piango più,
Ecco, Ti chiamo, Santo,
Santo, Santo che soffri.


  ITACA
(Konstantin Kavafis)

Quando ti metterai in viaggio per Itaca
augurati che la strada sia lunga
...
Non  affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull’isola,
senza aspettarti ricchezze da Itaca.
Itaca ti ha dato il bel viaggio,
che cos’altro ti aspetti?

E se la troverai povera,
non per questo Itaca ti avrà deluso.
Divenuto ormai savio,
ricco del tesoro della tua esperienza,
allora capirai che cosa significa
’ Itaca’.



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