LE PASSEGGIATE


                            18 novembre 2023

La 'CASA degli ITALIANI'
Visita al Palazzo del Quirinale
guidata da Enrica Flamini


IL PALAZZO DEL QUIRINALE

Il colle del Quirinale, per la sua posizione e la salubrità dell’aria, ospitò fin dall’antichità edifici residenziali, pubblici e di culto. Nell’area del colle sorsero nel IV secolo a.C. il tempio del dio Quirino - che impose nome al colle -  e quello della dea Salute. Tra gli altri edifici imponenti, le terme di Costantino e il tempio di Serapide, edificato da Caracalla nel 217 d.C. Di quell’antico tempio romano provengono i due gruppi scultorei dei Dioscuri, che ancora si ergono sulla piazza del Quirinale.

La costruzione del Palazzo, destinato a diventare la reggia del Papa Re, si deve all’iniziativa di Papa Gregorio XIII, nel 1574.


G. van Wittel, Piazza del Quirinale nel 1682

In questo palazzo si sono svolti i quattro Conclavi dell'Ottocento, con la Cappella Paolina utilizzata per le votazioni.  Nel conclave del giugno 1846, fu eletto al trono pontificio Giovanni Maria Mastai Ferretti, papa Pio IX che dalla loggia del Quirinale impartì la benedizione all'Italia, accolta dai liberali come prova delle simpatie del pontefice per le cause della indipendenza nazionale. Vi risiedette fino al 18 novembre del 1848, quando scappò, travestito da semplice prete, per rifugiarsi a Gaeta, lasciando il palazzo ai triumviri della Repubblica Romana, e quando nel 1850 tornò a Roma, non volle più abitare al Quirinale ma andò ad abitare in Vaticano.

Il palazzo del Quirinale fu così abbandonato, finchè non divenne la residenza dei Re d'Italia. La presa di possesso del palazzo in nome del Re d'Italia, avvenne la sera dell'8 novembre 1870, dopo la Breccia di Porta Pia.

Il palazzo subì numerosi cambiamenti, con la sistemazione delle stanze alle esigenze dei nuovi residenti, ma furono principalmente i principi Umberto e Margherita a dare tono al palazzo con grandi feste da ballo alternate a riunioni mondano letterarie alle quali partecipavano i nobili del patriziato e gli esponenti più in vista della cultura romana.  

Il palazzo si aprì anche ad iniziative di carattere umanitarie quando nel 1915 ospitò un ospedale militare, con le sale da ballo trasformate in corsie con lunghe file di brandine di ferro.

Oggi il Palazzo del Quirinale è la sede ufficiale della Presidenza della Repubblica, però il primo presidente Enrico de Nicola non vi abitò, preferendo risiedere a Palazzo Giustiniani, mentre vi si insediò Luigi Einaudi tra il 1944 e il 1955. Dei presidenti successivi, Giovanni Gronchi, presidente dal 1955 al 1962, utilizzò il palazzo solo come studio e rappresentanza. Vi abitarono durante il loro mandato Antonio Segni, presidente dal 1962 al 1964, Giuseppe Saragat presidente dal 1964 al 1971, e Giovanni Leone presidente dal 1971 al 1978. Per i presidenti Sandro Pertini presidente dal 1978 al 1985, Francesco Cossiga dal 1985 al 1992, Oscar Luigi Scalfaro dal 1992 al 1999, il palazzo fu usato solo come sede di rappresentanza. Vi abitò invece il presidente Carlo Azelio Ciampi,  il presidente Giorgio Napolitano e l’attuale presidente Sergio Mattarella.




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27 maggio 2023


PARTENOPE

 Terra del sole e del mare,

dei contrasti, degli incanti, e dei mille segreti,

dove la luce gioca con penombre e colori

e la musica diventa canto e poesia …

 Una terra da esplorare conoscere amare,

e abitare come ‘dono degli dei’

da conservare nel cuore e nella memoria

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 ITINERARIO

                                   Colazione napoletana con “Sfogliatella”  e caffé 

                           Cortile del palazzo dello "Spagnolo" in via dei Vergini

                           CHIESA di S. MARIA DELLA SANITÀ

                           IPOGEO e CATACOMBE DI S. GAUDIOSO

     

                    CHIESE DEL GESÙ e DI S. CHIARA

                    CAPPELLA del PRINCIPE DI SANSEVERO 

                                Sculture e macchine anatomiche

                    DUOMO

                    NUONA STAZIONE METRO di VIA TOLEDO

 

 
 Cortile del palazzo dello 'Spagnolo'

    S. Maria della Sanità 

 
 


 

 

 

 

 

Ipogeo - Sepolcro di S. Gaudioso

 

 
Cappella di Sansevero - Il Cristo velato
 
 
 
            
 Cappella di Sansevero -  La Pudicizia e Il Disinganno



Cappella di Sansevero -  Le 'Macchine anatomiche'

 

CATACOMBE DI SAN GAUDIOSO

Sotto la Basilica di Santa Maria della Sanità, centro nevralgico del  rione ‘Sanità’, sorge quello che era il secondo cimitero paleocristiano più importante della città. La valle che oggi accoglie uno dei quartieri più popolosi di Napoli, è stata un tempo necropoli e area cimiteriale. In quest'area sorsero ipogei ellenistici e, successivamente, catacombe paleocristiane come quelle di San Gennaro e San Gaudioso. Dal XVII secolo la zona fu chiamata "Sanità" perché ritenuta incontaminata e salubre, anche grazie a proprietà miracolose attribuite alla presenza delle tombe dei Santi.

Settimio Celio Gaudioso, vescovo di Abitine, in Tunisia, rifugiatosi a Napoli dopo l'invasione dei Vandali, alla sua morte (453 d.C.) fu sepolto nella sua area cimiteriale, e il luogo della sua sepoltura diventò ben presto oggetto di culto.

L'accesso alle Catacombe è all'interno della Basilica Santa Maria della Sanità. In esse è ben presente  l'intensità degli elementi paleocristiani, come la tomba di San Gaudioso, gli affreschi e i mosaici del V e VI secolo in cui sono rappresentati molti simboli diffusi nella prima età cristiana, come il pesce, l'agnello, la vite con i tralci.

Nel Seicento, il sito tornò a ospitare sepolture riservate agli aristocratici e agli ecclesiastici. Tali sepolture erano realizzate secondo un procedimento particolare. I teschi venivano apposti a vista nelle pareti dell’ambulacro, mentre il resto del corpo era affrescato, generalmente con gli abiti e gli attrezzi del mestiere che rappresentavano la posizione sociale del defunto.

La sepoltura di nobili ed ecclesiastici prevedeva la pratica della scolatura, il procedimento per cui si ponevano i cadaveri in piccole cavità dette seditoi, scolatoi - o in napoletano cantarelle (dal greco canthàrus, per il vaso posto al di sotto del defunto) che avevano la funzione di raccogliere i fluidi cadaverici. Una volta concluso il processo, le ossa venivano lavate e deposte nella loro sepoltura definitiva.

Questo compito macabro era assolto da una figura chiamata schiattamuorto. Lo schiattamuorto aveva il compito di porre i cadaveri a scolare, avendo cura di praticare dei fori sui corpi in modo da favorirne il processo di disseccamento.

 

LA CAPPELLA SANSEVERO, mausoleo nobiliare e tempio iniziatico

La Cappella Sansevero (o Santa Maria della Pietà o Pietatella), situata nelle vicinanze della piazza San Domenico Maggiore, è attigua al palazzo di famiglia dei principi di Sansevero, da questo separata da un vicolo una volta sormontato da un ponte sospeso che consentiva ai membri della famiglia di accedere privatamente al luogo di culto.

La cappella ospita capolavori come il Cristo velato di Giuseppe Sanmartino, conosciuto in tutto il mondo per il suo velo marmoreo che quasi si adagia sul Cristo morto, la Pudicizia di Antonio Corradini e il Disinganno di Francesco Queirolo. Essa ospita anche le sorprendenti macchine anatomiche, due corpi totalmente scarnificati in cui è possibile osservare, in modo molto dettagliato, l'intero sistema circolatorio.

Oltre a essere stato concepito come luogo di culto, il mausoleo è soprattutto un tempio massonico carico di simbologie, che riflette il genio e il carisma di Raimondo di Sangro, settimo principe di Sansevero, committente e allo stesso tempo ideatore dell'apparato artistico settecentesco della cappella.

Una leggenda vuole che la chiesa sia stata eretta su un preesistente antico tempio dedicato alla dea Iside. Ma la vera origine della cappella sarebbe da far risalire all'omicidio, compiuto nel 1590 da Carlo Gesualdo da Venosa, che uccise Maria d'Avalos, sua moglie, e l'amante di lei Fabrizio Carafa. La madre di Fabrizio avrebbe fatto edificare la cappella, come voto alla Madonna per implorare la salvezza dell'anima del figlio.

Negli anni quaranta del Settecento, il principe Raimondo di Sangro iniziò ad ampliare la chiesetta e ad arricchirla con diverse opere di artisti di fama internazionale come Giuseppe Sanmartino, Antonio Corradini, Francesco Queirolo: è in questo periodo che vennero realizzati capolavori come il Cristo velato, il Disinganno e la Pudicizia.

L'elemento più tipico della Cappella Sansevero è senza dubbio il suo corredo di statue, il quale segue un progetto iconografico attentamente studiato da Raimondo di Sangro. La chiave di tale progetto sta nelle dieci statue delle Virtù, di cui nove dedicate alle consorti di membri della famiglia Sansevero, e una - il Disinganno - dedicata ad Antonio di Sangro, padre del principe Raimondo.  Nelle raffigurazioni delle Virtù, è possibile notare anche una serie di significati allegorici, spesso riferiti al mondo della massoneria, di cui Raimondo di Sangro era Gran maestro. Nel progetto del principe le Virtù rappresenterebbero infatti le tappe di un cammino spirituale, simile a quello dell'iniziato massone, che conduca al perfezionamento di sé. Parte integrante di questo percorso è il pavimento labirintico, che rappresenta le difficoltà del cammino che porta alla conoscenza.

Il Cristo Velato

L'opera più celebre della Cappella è senza dubbio il Cristo velato di Giuseppe Sanmartino, posto al centro della navata centrale. Si tratta di una statua di marmo scolpita a grandezza naturale, rappresentante il Cristo morto, sdraiato su un materasso, con il capo sorretto da due cuscini e inclinato lateralmente, il cui corpo è ricoperto da un velo che aderisce perfettamente alle forme del viso e al corpo stesso, tanto che sono visibili le ferite del martirio. Al lato si trovano gli strumenti del supplizio: una realistica corona di spine, una tenaglia e dei chiodi, uno dei quali sembra quasi pizzicare il velo del sudario.

La Pudicizia

La Pudicizia è dedicata a Cecilia Gaetani, madre di Raimondo di Sangro, che morì meno di un anno dopo la nascita del figlio. La statua, realizzata da Antonio Corradini,  raffigura una donna completamente coperta da un velo semitrasparente, cinta in vita da una ghirlanda di rose, che ne lascia intravedere le forme e in particolare i tratti del viso. Del Corradini è ammirevole l'abilità nel modellare il velo che aderisce con naturalezza al corpo della donna.

La composizione è carica di significati: la lapide spezzata sulla quale la figura appoggia il braccio sinistro, lo sguardo come perso nel vuoto e l'albero della vita che nasce dal marmo ai piedi della statua simboleggiano la morte prematura della principessa Cecilia. Il tema della vita e della morte è ripreso dal bassorilievo del pilastro su cui poggia la statua, raffigurante l'episodio biblico conosciuto come Noli me tangere, nel quale Gesù risorto dice a Maddalena di non cercare di trattenerlo. È probabile che la statua rappresenti  anche un'allegoria alla sapienza, con un riferimento alla velata Iside, dea egizia della fertilità e della scienza iniziatica.

Il Disinganno

Il Disinganno è un’opera del Queirolo è dedicata ad Antonio di Sangro, padre del principe Raimondo:  raffigura un uomo che si libera da una rete, simboleggiante il peccato.  In seguito alla morte della giovane moglie, avvenuta un anno dopo la nascita del figlio, il duca Antonio condusse infatti una vita dedita ai vizi viaggiando in tutta Europa.  Ormai anziano, tornò a Napoli e, pentito, abbracciò la fede e si dedicò alla vita religiosa. Nella composizione marmorea l'uomo è aiutato a liberarsi dalla rete del peccato da un putto, simbolo dell'intelletto umano, che con la mano destra indica il globo terrestre, simbolo della mondanità, adagiato ai suoi piedi. L'elemento della fede attraverso cui è possibile liberarsi dagli errori commessi è rappresentato dalla bibbia aperta e dal bassorilievo sul basamento del pilastro, che raffigura l'episodio biblico di Gesù che dona la vista al cieco.  L'elemento che maggiormente colpisce della scultura è sicuramente la fitta rete, completamente in marmo, prova della maestria del Queirolo.

Le Macchine Anatomiche

Le due cosiddette macchine anatomiche, custodite all'interno della cavea, sono uno dei maggiori punti di interesse della cappella. Si tratta degli scheletri di due individui, un uomo e una donna, completamente scarnificati e allestiti in posizione eretta. Al di sopra di ogni scheletro è fedelmente riprodotto, fin nei particolari più minuti, l'intero sistema circolatorio.  Secondo la tradizione più nota essi furono realizzati dal medico palermitano Giuseppe Salerno, sotto la direzione dello stesso Raimondo di Sangro, seguendo un procedimento a tutt'oggi non completamente chiarito.

Il grado di precisione raggiunto nella rappresentazione di arterie, vene e capillari, unito alla fama di alchimista di Raimondo di Sangro, è tale che fino a pochi anni fa si pensava che si trattasse effettivamente di tessuti viventi, la cui conservazione fosse stata ottenuta attraverso un misterioso procedimento alchemico: secondo questa teoria - oggi superata - Raimondo avrebbe fatto iniettare nel sistema circolatorio di due suoi servi una sostanza speciale di sua creazione, la quale avrebbe «metallizzato» i vasi sanguigni permettendo la loro conservazione nei tempo.

 

Gli escursionisti della 'Passeggiata Napoletana'

 

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 21 maggio 2022


 ITINERARIO

                                        I 'VILLINI DELLE FATE'  al quartiere Coppedé

                                        IL CIMITERO ACATTOLICO 

                                        IL ROSETO di ROMA


I ‘Villini delle fate’ al quartiere Coppedé

A un passo da piazza Buenos Aires e dalla Chiesa Argentina degli anni 30 (S. Maria Addolorata), c’è un angolo di Roma dalle fattezze inaspettate e bizzarre, un fantastico miscuglio di arte liberty, barocca, decò, con tratti inusuali di arte greca, gotica, barocca e addirittura medievale. L’originalissimo complesso residenziale di  palazzine e  villini, progettato dall’architetto Gino Coppedè e realizzato tra il 1913 e il 1926, rappresenta un’oasi fiabesca all’interno della metropoli romana.



 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il ‘Cimitero acattolico’ 

Il Cimitero acattolico di Roma è un luogo romantico, dove arte, bellezza e natura intessono una trama ricca di suggestioni e di richiami al passato: qui sono i sepolcri di poeti, scrittori, artisti, musicisti e politici non cattolici dal ‘700 fino ai nostri giorni tra cui quelli dei poeti inglesi Percy B. Shelley, John Keats, dello storico Antonio Gramsci, degli scrittori Carlo Emilio Gadda, Miriam Mafai, Andrea Camilleri, degli attori Belinda Lee, Arnoldo Foà e del poeta Dario Bellezza. Negli anni il numero delle persone sepolte è arrivato a quasi 4000, per lo più inglesi e tedeschi, ma anche americani, scandinavi, russi, greci e di tutte le confessioni religiose dall’Islam, allo Zoroastrismo, dal Buddismo al Confucianesimo.


 


 

 

 

 

 

 

 Il  ‘Roseto di Roma’

Unico al mondo per la sua incantevole posizione, il Giardino delle rose di Roma offre una vista magnifica che – sulle pendici dell’Aventino, appena sopra il Circo Massimo – spazia verso l’orizzonte più assoluto: dal Colle Palatino al campanile di S. Maria in Cosmedin, al Vittoriano, fino alla cupola della Sinagoga. E complice il clima primaverile, che è il periodo migliore della fioritura, si assiste tra i viali, all’esplosione di colori e profumi delle migliaia di varietà di rose coltivate: le specie più antiche, quelle spontanee e le moderne, frutto di accurate selezioni.


 Il  Roseto ospita oggi circa 1200 specie di rose provenienti da tutto il mondo, specie antiche e nuove, alcune originalissime (come la Rosa Chinensis Mutabilis, che cambia colore con il passare dei giorni e  la Rosa Chinensis Virdiflora, dai petali di color verde. Il Roseto è diviso in due settori, uno più grande che ripercorre tutta l’evoluzione di questo fiore, l’altro dedicato alle rose partecipanti al tradizionale concorso “Premio Roma per le nuove varietà” che si svolge a maggio. 

 


  ... e le rose tra le rose ...

 




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4 dicembre 2021

Passeggiata d'autunno

 


 ITINERARIO

                                     L'ALTRO MOSE'
                                             la 'mostra' dell'Acquedotto Felice

                                     LA TRANSVERBERAZIONE DI S. TERESA di G.L. Bernini
                                            dopo il restauro integrale della Cappella Corner

                                     GLI  8  'GIGANTI DI STUCCO'
                                             nella chiesa di S. Bernardino alle Terme

                                    'COMUNIONE DI PERSONE la rappresentazione della figura umana in mostra al palazzo della Cancelleria

                                   TRILUSSA ALLA FINESTRA
                                              monumento a Trilussa nella piazzetta omonima

                                    L'ALTRA ESTASI del BERNINI
                                             la beata Ludovica in S. Francesco a Ripa e cappella sepolcrale del pittore Giorgio De Chir
ico


L’ “altro Mosé “ (in S. Bernardino)                     

La fontana dell’Acqua Felice presso le Terme Diocleziane (in piazza San Bernardo), fu costruita per ordine di Sisto V, intorno al 1590.

Nella nicchia di mezzo è collocato un Mosè colossale in atto di fare sgorgare l’acqua dalle rupe, scultura di Prospero Antichi da Brescia, un ammiratore del Mosè di Michelangelo, al quale egli certamente si ispirò. 

Ma i contemporanei non gradirono il confronto e l’opera fu oggetto di una critica feroce (… che oggi ancora non s’è spenta!), tanto che l’autore - come vuole la leggenda - cadde in depressione e morì qualche anno dopo di crepacuore.

 
La transverberazione di santa Teresa (in S. Maria della Vittoria)      

Torna a splendere, dopo il restauro integrale, la Cappella Cornaro della Chiesa di Santa Maria della Vittoria, capolavoro del Barocco ideato da Gian Lorenzo Bernini, nota per custodire al suo interno una delle opere più ispirate, spirituali e sensuali realizzate dallo scultore: l’Estasi di Santa Teresa D’Avila. Nell’opera, architettura, pittura, scultura e arte scenografica si fondono magistralmente per dare vita a un’esperienza di intensa fruizione.

  
 
 
 
La “Transverberazione di santa Teresa”, è una scultura in marmo di Gian Lorenzo Bernini, realizzata a metà del ‘600 e situata nella Cappella Corner della Chiesa di S. Maria della Vittoria. L’opera rappresenta il momento in cui Santa Teresa è colta dall’estasi mistica e del suo ‘senso di Dio’. 

Nella rappresentazione barocca del Bernini, la santa reclina la testa in un atteggiamento languido, ha il volto dolce, gli occhi socchiusi e rivolti al cielo, la bocca semiaperta in un gemito, mentre il corpo è scosso da una sensuale passione mistica. Un cherubino dall’espressione maliziosa le scosta le vesti per colpirla al cuore con un dardo infuocato, simbolo dell’Amore di Dio. L’abbandono scomposto ed ardente della Santa la cui veste, ampia e vaporosa, è lasciata cadere in modo disordinato sul corpo, è un capolavoro di virtuosismo tecnico.


Gli 8 ‘Giganti di stucco’ (in San Bernardo alle Terme)

La Chiesa – edificata su un lato delle antiche terme -  è dedicata Bernardo da Chiaravalle (1090 - 1153), fondatore dei Cistercensi, ed è nota come ‘la chiesa senza finestre’, infatti prende luce solo dall'implu-vium come nel Pantheon, con il foro chiuso da un lanternino. La grande sala termale è rimasta intatta con la grande cupola. Protagoniste assolute della decorazione interna della chiesa sono le otto gigantesche statue in stucco di Camillo Mariani, poste entro grandi nicchie bianche. Le otto statue, che misurano più di tre metri ognuna, sono rivolte alternativamente verso destra e verso sinistra e raffigurano tra gli altri: S.Girolamo e S. M. Maddalena.

 
 

Mostra “COMUNIONE DI PERSONE”  -  La rappresentazione della figura umana

Il tema della Mostra è la rappresentazione della figura umana nell’arte greca moderna, dal periodo post-bizantino all’era contemporanea. In 66 opere si pone in rilievo il passaggio dal rigore della concezione religiosa della figura umana alla libertà di sperimentazione, alla luce delle attuali correnti artistiche internazionali dominanti in Europa, con cui gli artisti dello stato greco libero si confrontano dal 1830 in poi.

Attraverso il ritratto, formulazione estetica e allo stesso tempo testimonianza sociale e storica di ogni epoca, si ripercorre l’evoluzione della rappresentazione della figura umana come manifestazione dell’artista che riconosce la naturale peculiarità della persona raffigurata, e di quello che essa stessa vuole mettere in rilievo. Una “Comunione di Persone” che definisce l’identità del soggetto, che invita l’artista a esplorare il mistero della sua presenza, che invita lo spettatore a partecipare e comprendere questo mistero.

Disegno per il mese di maggio (di G. Thsaroukis), una delle opere in mostra

 

Trilussa alla finestra (in piazza Trilussa)

Sulla piazzetta di fronte a ponte Sisto sorge il monumento dedicato al poeta romanesco Trilussa (1871 – 1950). Accanto alla sua immagine è riportata una poesia, che rispecchia il moralismo, l’arguzia aperta e cordiale, che nasconde un’ombra di disprezzo verso le vicende umane, di questo grande personaggio: “Mentre me leggo er solito giornale spaparacchiato all’ombra d’un pajaro, vedo un porco e je dico: – Addio, majale! vedo un ciuccio e je dico: – Addio, somaro! Forse ‘ste bestie nun me capiranno, ma provo armeno la soddisfazzione de poté dì le cose come stanno senza paura de finì in priggione“.

 


La Beata Ludovica  (a S. Francesco a Ripa)

Nel 1675 il settantasettene Gian Lorenzo Bernini realizzò la sua ultima scultura: l’”Estasi della Beata Ludovica Albertoni”, monaca francescana beatificata nel 1671. Il volto  e l’atteggiamento della Beata descrivono – con ogni evidenza - la stessa estasi mistica  già rappresentata venticinque anni prima nella discussa “Transverberazione di Santa Teresa”.


C’è un sito seminascosto da un cancelletto sulla navata sinistra della chiesa: è la cappella dove riposa il corpo dell’artista del ‘900 italiano Giorgio de Chirico. Nel 1992 che vennero traslate nella chiesa di San Francesco a Ripa le spoglie mortali del famoso pittore, prima seppellito al cimitero monumentale del Verano.

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 ... e infine, alcuni foto-momenti della giornata




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 13 aprile 2019

Passeggiata di primavera

 ITINERARIO

                                BASILICA DI SANTA PRASSEDE
                                        Il 'Giardino del paradiso'

                                VILLA TORLONIA
                                       La 'Casina delle civette'

                                CHIESA DI SANT'IGNAZIO in Campo Marzio
                                        I tromp-d'oeil di Andrea del Pozzo

                                "EXODUS"
                                       Ciclo pittorico di Safet Zec


Santa Prassede

Secondo un'antica leggenda, santa Prassede e santa Pudenziana, figlie del senatore romano Pudente, discepolo di Paolo di Tarso, furono uccise perché si erano dedicate alla sepoltura dei martiri delle persecuzioni di Antonino Pio nei pozzi situati nel terreno di proprietà del padre. La chiesa di S. Prassede, fondata da papa Pasquale I in onore della madre Teodora, conserva nella cripta le reliquie delle due sante sorelle.

La Cappella di san Zenone - sulla navata destra della chiesa - rappresenta uno dei più pregevoli monumenti bizantini in Roma, eretto per volontà di papa Pasquale come mausoleo della madre. L'interno della cappella è ricoperto di mosaici di tipo ravennate, ed è così splendente da essere stato chiamato 'il giardino del paradiso'.

 


Villa Torlonia e Casina delle civette

La villa fu costruita a partire dal 1806 sul progetto dell'architetto Giuseppe Valadier per il marchese Giovanni Torlonia, che aveva acquistato la tenuta dalla famiglia Colonna. Nel 1925 la villa fu concessa dallo Stato al capo del governo Benito Mussolini, come  residenza sua e della famiglia. Mussolini vi dimorò fino al 1943. Acquistata dal Comune di Roma, la villa è aperta al pubblico dal 1978.
 
 
La Casina delle civette - dimora privata del principe Giovanni Torlonia jr. fino al 1938 -  è il risultato di diverse trasformazioni dell'antica Capanna Svizzera che, ai bordi del parco e seminascosta da una collinetta, costituiva un luogo di evasione rispetto all'ufficialità della residenza pricipale. Negli anni Venti del secolo scorso l'edificio cominciò ad essere  denominato Villino delle civette per una vetrata eseguita da Duilio Cambellotti raffigurante due civette stilizzate tra tralci d'edera, e per il ricorrente tema della civetta nei mobili e nelle decorazioni, secondo il gusto del principe Giovanni, appassionato cultore di simboli esoterici.
 



Chiesa di sant'Ignazio in Campo Marzio

La chiesa è dedicata a Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù e canonizzato tra i santi nel 1622. Classico esempio di barocco italiano, è celebre non solo per la sua struttura e per le sue decorazioni, ma soprattutto per i suoi straordinari giochi d'illusione ottica realizzati dal frate Andrea del Pozzo, famoso autore di affreschi trompe d'oeil (inganni d'occhi).
 
 
Il fantasioso affresco 'La gloria di sant'Ignazio', tramite l'effetto di sfondamento (o 'quadratura') della volta principale appare, a chi la guarda dal basso, più grande del doppio, e offrendo agli occhi dello spettatore la simulazione prospettica di una seconda chiesa tridimensionale poggiante direttamente su quella reale. E ancora: se da un tondo dorato pavimentale presso l'altar maggiore si porta in alto lo sguardo, si può ammirare la splendida cupola centrale di ben 13 metri di diametro. Ma la cupola ... è finta! Il soffitto è piatto e sopra vi è applicato un dipinto che produce un'illusione ottica tridimensionale. Andrea del Pozzo inserì infine nell'abside - quindi in una superficie curva - quattro colonne che, a prima vista, sembrano assolutamente dritte. 
 
La piazza davanti  alla chiesa, significativa opera in stile 'rococò', fu realizzata successivamente, intorno al 1727.
 

"EXODUS" - Il ciclo pittorico di Safet Zec

La mostra temporanea, allestita nella chiesa di S Francesco Saverio, è dedicata al tema attuale e bruciante dell'emigrazione, rappresentato visivamente dal pittore bosniaco Safet Zec, considerato dalla critica internazionale artista di straordinarie qualità espressive. 
 
 
L'esposizione richiama la dimensione biblica dell'esodo di migliaia di migranti che giungono ogni giorno in Europa. Gli immensi teléri che compongono i due polittici di 10 metri per 3, danno voce e forma al grido di denuncia contro ogni guerra e contro la tragedia della migrazione e della condizione alienante dei rifugiati. Un grido che in EXODUS si traduce in una sequenza di figure dolenti e disperate, di bambini ai quali tutto è rubato, anche il futuro, ma in cui forse alberga ancora la speranza di trovare accoglienza in un'altra nuova terra, in un mondo pù umano.


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Gruppo di amici della Bottega alla Casina delle civette

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6 maggio 2018

   un museo

                 la monica

          e il mosè


ITINERARIO

TEATRO DEI DIOSCURI al Quirinale
    Mostra fotografica multimediale  'La dolce Vitti'

MUSEO NAPOLEONICO

 Il MOSE'  di MICHELANGELO  a S. Pietro in Vincoli

 

 M 1

Monica Vitti brilla in una luce intatta agli occhi di spettatori di ogni latitudine e la sua leggenda sopravvive nel cuore di un pubblico sconfinato che continua ad amarla incondizionatamente. Un'antidiva dal fascino magnetico che, con arguta ironia, è diventata anche il simbolo della comicità al femminile, segnando uno spartiacque con i modelli di attrice e donna convenzionali della sua epoca.

C’è un incantesimo che Monica Vitti ha fatto al cinema, e per il quale è stata l’attrice che ha suscitato la più ampia simpatia e commozione in un pubblico vasto e trasversale, cinefilo e popolare. Come forse a nessuna interprete è riuscito, ha unito le due anime divise del nostro cinema più grande: quella d’autore, il cinema d’impegno e linguaggio, e la Commedia all’italiana. Due anime troppo spesso scisse, conflittuali, che in lei si incarnano con naturalezza, in un unico corpo. In questa sintesi Monica Vitti è stata un’attrice unica, attraverso decine di incarnazioni diverse: personaggi, trasformazioni, svolte di carriera, Teatro, Cinema, TV, copioni, canzoni… Pubblici assai vari, per cui è stata una presenza di volta in volta raffinata e popolarissima.

La mostra fotografica e multimediale, La Dolce Vitti, ideata e realizzata dall’Istituto Luce di Cinecittà, allestita a Roma al Teatro dei Dioscuri, racconta le diverse forme di questa presenza, in 40 anni di spettacolo, decine di film, teatro, TV, costume, cultura alta e popolare, e regala le tracce di questo incantesimo.

Per descrivere la mobilità magica dell’arte della Vitti, la mostra propone un percorso espositivo multimediale, con un andamento cronologico e insieme tematico.  Le oltre 70 magnifiche fotografie provenienti da importanti archivi pubblici, toccano le evoluzioni di un’attrice e di un Paese che muta con lei. La Vitti si racconta in prima persona, attraverso ricordi, riflessioni, e brani dei suoi libri. L’elemento chiave è la stessa voce dell’attrice, una voce roca, singolare, così controcorrente rispetto ai canoni dello spettacolo, che diverrà una delle caratteristiche della sua arte.

La mostra parte con le straordinarie immagini degli anni dell’apprendistato della giovane Maria Luisa Ceciarelli (nata nel 1931), una ragazza che spicca per altezza, slancio, e una sincera propensione al dramma e ai tragici.

Dopo il decennio 1955-65, il fortunato incontro con Antonioni e i Festival internazionali che la consacrano fino in America come la musa del cinema di più impervio impegno, la commedia consegna Monica alla popolarità e all’amore del grande pubblico.  Nel 1968 Monica Vitti esplode come una nuova stella, diversa e brillante. A fianco di Gassman, Tognazzi, Manfredi, Mastroianni, recita in film memorabili di Monicelli, Scola, Risi, Loy, Salce.  Alberto Sordi, re della commedia all’italiana, ne farà per sempre la sua compagna ideale di film in titoli come Polvere di stelle, Amore mio aiutami, Io so che tu sai che io so… Come per lui del resto, che non è associabile ad alcun altro regista, le commedie con la Vitti appartengono a un genere particolare, non classificato nei libri: sono semplicemente ‘film con Monica Vitti’, perché lei  non è solo un’attrice, ma una creatrice dei film che interpreta.

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Al centro di Roma, tra il Tevere e piazza Navona, si trova il Palazzo Primoli, già residenza del conte Giuseppe Napoleone Primoli (1851-1927), discendente della famiglia Bonaparte. Al piano terreno del Palazzo Primoli si trova il Museo Napoleonico, lascito del conte Primoli alla città di Roma alla sua morte, nel 1927. Oggi è un piccolo museo affascinante perché rispecchia il desiderio dell’erede di documentare, più che l'epopea napoleonica, la storia privata della famiglia Bonaparte.

Con il suo carico millenario di storia e simboli, Roma è un fondamentale punto di riferimento per Napoleone che aspira a costruire un nuovo impero europeo. Al momento della conquista francese (1809-1814) è dichiarata seconda città dell’impero, di rango inferiore solo a Parigi. Al figlio dell’imperatore, nato nel 1811, è dato il titolo di Re di Roma. Ma né Napoleone né il figlio giungeranno mai nell’Urbe. Vi si stabilisce invece dal il fratello Luciano, poi la sorella Paolina che sposa Camillo Borghese, divenendo principessa romana. Negli anni della Restaurazione la città accoglie ancora diversi membri della famiglia Bonaparte,  come la madre di Napoleone, Madame Mère, che fino alla morte abiterà il palazzo che affaccia su piazza Venezia.

Il Museo Napoleonico di Roma conserva oggetti e souvenir napoleonici, principalmente provenienti dalla collezione del conte Giuseppe Primoli, nipote di Luciano e ultimo discendente della famiglia Bonaparte.  

 

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Il Mosè di Michelangelo

Nascosto nello splendido quartiere Monti a Roma, nella chiesa di San Pietro in Vincoli, c’è uno dei più grandi capolavori dell’arte italiana.

Nel transetto di destra della chiesa si trova il celebre Mosè di Michelangelo. La colossale statua, scolpita nel 1513 per ornare il monumento funebre che Giulio II aveva commissionato al Buonarroti, fu completata solo alla morte del Papa, quando il progetto del mausoleo papale fu definitivamente abbandonato. L’opera, che aveva preso a modello Raffaello e Donatello, ritrae un maestoso Mosè seduto con le Tavole della Legge sotto il braccio, mentre con l’altra mano accarezza la sua lunga barba, che secondo il Vasari fu scolpita con una perfezione tale da sembrare più“opera di pennello che di scalpello”.

Il momento rappresentato da Michelangelo è quello successivo alla consegna dei Comandamenti sul monte Sinai, quando Mosè trova gli israeliti intenti a venerare un vitello d’oro, segno di adorazione di altri dei. Mosè è irato e sembra sul punto di alzarsi e distruggere tutto. Una rabbia perfettamente espressa dalle vene gonfie e i muscoli in tensione che sembrano dar vita al marmo.

Le corna sul capo del Mosè deriverebbero da un’errata traduzione del Libro dell'Esodo in cui si narra che Mosè, mentre scendeva dal Sinai, aveva due raggi sulla fronte. (L'ebraico "karan" o "karnaim" - "raggi" - potrebbe essere stato confuso con "keren" - "corna").

Molti critici sostengono che questa sia stata una delle opere predilette da Michelangelo, che la riteneva estremamente realista. Leggendarie cronache dell’epoca narrano che l’artista, terminata l’opera, la colpì con un mazzuolo e le gridò “Perché non parli”?

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3 dicembre 2016

 ITINERARIO

 

CARAVAGGIO (Michelangelo Merisi)

CHIESA DI S. MARIA DEL POPOLO
    Conversione di San Paolo
    Crocifissione di San Pietro

CHIESA DI S. LUIGI DEI FRANCESI
    Vocazione di San Matteo
    San Matteo e l'Angelo
    Martirio di San Matteo

CHIESA DI S. AGOSTINO
    Madonna dei Pellegrini

Caravaggio, Vocazione di Matteo


GIAN LORENZO BERNINI

PIAZZA NAVONA
    Fontana dei quattro fiumi
    Fontana del Moro
    
CHIESA DI S. FRANCESCO A RIPA
    Estasi della beata Ludovica Albertoni

PIAZZA DI SPAGNA
    Fontana della Barcaccia

PIAZZA BARBERINI
    Fontana del Tritone
    Fontana delle Api

CHIESA DI S. MARIA DELLA VITTORIA
    Estasi di Santa Teresa d'Avila


G.L. BERNINI, Estasi di Santa Teresa

 

CARAVAGGIO  E  BERNINI

Caravaggio e Bernini:  l’uno pittore, l’altro scultore, neppure coetanei, eppure insieme primi maestri nell’arte di rappresentare la luce quando, caduto il mito rinascimentale della superiorità della ragione, le arti visive si fanno sempre più teatrali, per comunicare ai fedeli con maggiore intensità emotiva le verità della chiesa, ma anche per indagare la drammatica realtà dell’uomo contemporaneo. È l’alba dell’arte barocca.

Michelangelo Merisi  da Caravaggio (1571 - 1610)

Innovatore dei contenuti e delle forme, eserciterà una grande influenza su molti pittori contemporanei e successivi, per il suo modo realistico di rappresentare le cose belle o brutte, ma specialmente per il suo nuovo modo di trattare la luce. Nei dipinti del Caravaggio la luce si concentra su punti fissi come un riflettore puntato sulle figure, che emergono improvvise e luminose dalle ombre. Egli elabora così una pittura altamente emotiva in una atmosfera di grande tensione e drammaticità. Tema della sua pittura è perciò, la realtà drammatica in cui vive l’uomo, espressa con un linguaggio in cui luce e ombre sono protagoniste

Prima delle Storie di San Matteo, la pittura caravaggesca è ancora “chiara”, e le immagini , nettamente plasmate dalla luce, si rilevano dal fondo senza contrasti. Nelle pitture riguardanti la vita dell’apostolo Matteo, il fondo si farà più scuro e l’artista userà sempre più la luce come mezzo espressivo. In realtà Caravaggio rifiuta la tradizionale identificazione di bello-buono, brutto-cattivo: la grazia di Dio può toccare chiunque non solo il meritevole, ed è la chiamata diretta, personale di Dio che sorprende l’uomo quando meno se lo aspetta.

Nei quadri San Matteo non ha aspetto di santo, non è abbellito, è volgare quando mostra in primo piano i grossi piedi nudi ed appare povero, vecchio, rozzo e analfabeta per cui l’angelo dovrà guidargli la mano.

La Conversione di san Paolo, del 1601, - lontanissima dalla iconografia tradizionale – descrive il momento della folgorazione di Paolo, sulla via di Damasco. Paolo è a terra, spada a lato, occhi accecati, il cavallo calmo è tenuto dallo scudiero. L’ambientazione povera e nuda fu ritenuta blasfema: senza la,figura di Cristo la rappresentazione diventa più drammatica, più umana non essendoci la presenza del divino

Gian Lorenzo Bernini (1598 –1680)

Architetto, scultore, pittore, scenografo costumista, realizza concretamente unione delle arti, ideale del’600. E’ il maggiore rappresentante del barocco, esprimendone  il trionfo della controriforma.

La chiara varietà dei suoi interessi gli permette di concepire ciò che progetta in una collocazione globale: la scultura è pensata entro un ambiente architettonico e l’architettura entro la città, sempre con un impianto scenografico che evidenzia la sua pratica teatrale.

Nell’Estasi di santa Teresa d’Avila (ma anche nell’Estasi della beata Ludovica Albertoni),  Bernini manifesta un’eccezionale abilità tecnica nella composizione e nel trattamento del marmo.

Circa le critiche mosse da sempre alla scultura (la spettacolarità teatrale della scena complessiva, e, in particolare l’ambiguità nell’abbandono della Santa in un estasi d’amore più terreno che divino) è opportuno osservare che Bernini aveva voluto rendere visibile ciò che è invisibile, l’amore divino, attraverso gli atteggiamenti del corpo, che è reale e, quindi, richiama inevitabilmente l’amore umano.

 
 G.L. BERNINI, Estasi della beata Ludovica Albertoni


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