ANTOLOGIA TEATRALE
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da "CASA DI BAMBOLA"
di Henrick Ibsen
SCENA FINALE
NORA (guardando
il suo orologio). Siediti Torvald, noi due abbiamo molte cose da dirci.
HELMER. Nora,
...ma che cosa vuol dire?
NORA. Siedi...
Ci vorrà diverso tempo.
HELMER (si
siede) Non ti capisco, Nora.
NORA. Non mi
capisci. E io non ho mai capito te... prima di stasera. No, non interrompermi.
Dovrai solo stare a sentirmi, Torvald.
HELMER. Che cosa
stai pensando ?
NORA. Siamo
sposati da otto anni. Non ti accorgi che questa è la prima volta che noi due,
marito e moglie, parliamo seriamente insieme?
HELMER. Già... Ma,
cosa intendi dire?
NORA. Che per
otto lunghi anni... non abbiamo mai cercato di affrontare insieme un problema.
HELMER. Ma, perché,
ti sarebbe piaciuto farlo?
NORA. Ecco il
punto. Tu non mi hai mai capito... Siete stati molto ingiusti nei miei
riguardi, Torvald. Prima il babbo e poi tu.
HELMER. Come!
Noi due... noi due che ti abbiamo amato più di qualsiasi altro?
NORA (scuotendo
il capo). Non mi avete mai amato. Vi piaceva solo volermi bene.
HELMER. Ma che
parole usi, Nora?
NORA. E’ così,
Torvald. Quando ero a casa da papà, lui mi chiamava la sua ‘bambolina’ e
giocava con me come io facevo con le mie bambole. Poi venni a casa tua e dalle
mani di mio padre passai nelle tue. Tu e papà avete commesso un grosso errore.
É colpa vostra se son diventata quella che sono.
HELMER. Come sei
ingiusta, Nora! Vuoi dire che non sei
stata felice qui?
NORA. No, non lo
sono mai stata.
HELMER. Non sei
stata... felice! Ti ho mai maltrattata?
NORA. No, tu sei
sempre stato gentile verso di me. Ma la nostra casa non era altro che una
stanza di giuochi. Qui, io sono stata la tua sposa-bambola come a casa ero la
bambola-bambina di mio padre. E i piccoli sono stati, a loro volta, i miei
bambolotti. Ecco che cosa è stato il nostro matrimonio, Torvald.
HELMER. Forse c'è
qualcosa di vero in quello che dici... Ma ti assicuro che d'ora in poi sarà tutto
diverso. Il tempo dei giuochi è passato, ora viene quello dell'educazione.
NORA. Quale
educazione? La mia, o quella dei bambini?
HELMER. La tua e
quella dei bambini, cara Nora.
NORA. Oh
Torvald, come potrei essere in grado di educare i nostri bambini? L'hai detto
tu stesso poco fa... è un compito che non ti senti più di affidarmi.
HELMER. L'ho
detto in un momento di collera, lo sai bene!
NORA. E invece
avevi ragione. E un compito superiore alle mie forze. Ma c'è un altro compito
che mi aspetta prima di quello. Dovrò pensare a educare me stessa. E devo
pensarci da sola. Per questo me ne vado.
HELMER Te ne vai?...
NORA. Non posso rimanere più qui. Me ne andrò
subito. Spero che Kristine vorrà ospitarmi per questa notte.
HELMER. Sei
pazza!! Io non te lo permetterò! Te lo
proibisco!
NORA. E’ inutile
proibirmi qualcosa. Domani torno al mio paese. Lì mi sarà più facile sistemarmi.
HELMER.
Abbandonare la tua casa, tuo marito, i tuoi bambini! E non pensi a cosa dirà la
gente?
NORA. Non posso più
preoccuparmi di questo.
HELMER. Ma come,
come puoi mancare ai tuoi più sacri doveri ?
NORA. E quali
sono i miei più sacri doveri?
HELMER. Tu sei prima
di tutto una moglie e una madre.
NORA. Io credo
di essere, prima di tutto, un essere umano...
HELMER. E non pensi agli insegnamenti della religione?
NORA. Oh
Torvald, io non so neppure bene che cosa sia la religione. Non so altro, che
quello che mi disse il pastore Hansen quando mi preparava alla cresima.
HELMER. É incredibile
che una donna così giovane possa parlare così! Ma il senso morale ce ’hai, no? Rispondimi...
ce l’hai o l'hai perduto?
NORA. Non lo so.
Ma voglio rifletterci su.
HELMER. Sei
malata, Nora. Penso quasi che tu stia delirando.
NORA. Non mi
sono mai sentita così lucida e sicura come questa sera.
HELMER. Lucida e
sicura… E abbandoni tuo marito e i tuoi figli ?
NORA. Sì,
proprio così.
HELMER. Allora
c'è una sola spiegazione possibile. Non mi ami più.
NORA. Oh, mi fa
tanto male, Torvald, perché tu sei sempre stato così gentile con me. Ma io non
posso farci nulla. Non ti amo più. Per
questo non voglio più restare qui.
HELMER. E vuoi
spiegarmi in che modo ho perduto il tuo amore?
NORA. E stato
stasera, quando il miracolo che aspettavo non è accaduto …
HELMER. Non
capisco.
NORA. Sono otto
anni che aspettavo … Sapevo bene che i miracoli non avvengono ogni giorno. Ma
quando la rovina precipitò su di me, fui certa che il miracolo sarebbe accaduto.
Mentre la maledetta lettera di Krogstad aspettava lì fuori, ero certa che tu gli
avresti detto: - Faccia pure conoscere la cosa a tutto il mondo. E quando egli lo
avesse fatto... Allora tu ti saresti fatto avanti, e ti saresti assunto ogni
responsabilità dichiarando: il colpevole sono io!
HELMER. Nora... non c'è nessuno che sacrifichi il suo onore
per la persona che ama.
NORA. Migliaia di donne lo hanno fatto!
HELMER. Tu parli
come una bambina che non ragiona.
NORA. … Ma tu, passato
il pericolo... è stato come se non fosse successo niente. Io ero tornata ad
essere la tua lodoletta, come prima, la tua bambola così sventata e così
fragile. (Alzandosi). Torvald... in quel momento ho capito che per otto
anni avevo vissuto con un estraneo …
HELMER. Ma io ora
posso cambiare, non credi?
NORA. Forse...
se ti sarà tolta la bambola. (Va verso destra. Torna con il mantello, il
cappello e la piccola borsa da viaggio che appoggia sulla seggiola vicino al
tavolino).
HELMER. Nora, no.
Adesso no! Aspetta fino a domani.
NORA (si
infila il mantello). Questa notte non posso dormire in casa di un estraneo
(si annoda il cappello). Addio Torvald. Non voglio vedere i piccoli. So
che sono in mani migliori delle mie.
HELMER. Ma un
giorno, Nora... un giorno...?
NORA. Come posso
saperlo? Non so più che cosa sarà di me.
HELMER. Ma tu
sei mia moglie, lo sei adesso, e lo resterai anche dopo.
NORA. Ascolta,
Torvald... quando una donna abbandona la casa del proprio marito, ho sentito
dire che il marito è, per la legge, sciolto da ogni obbligo. In ogni caso, ti
sciolgo io da ogni obbligo. Non devi sentirti legato da nulla. Ecco, riprendi
il tuo anello. Dammi il mio.
HELMER. Anche
questo?
NORA. Anche
questo.
HELMER. Eccolo.
NORA. Bene; ora
dunque è finita. Metto qui le chiavi. Domani verrà Kristine per raccogliere
quello che avevo portato da casa mia. Vorrei che mi fosse spedito.
HELMER. Finita! E’
finita! E non penserai più a me, Nora?
NORA. Certo che
penserò spesso a te, ai bambini e a questa casa.
HELMER. Ma Nora ...
non potrò mai diventare qualcosa di più di un estraneo per te?
NORA (prendendo
la sua borsa). Ah Torvald, allora dovrebbe accadere il miracolo più straordinario
di tutti.
HELMER. E qual è
questo miracolo ‘più straordinario di tutti’!
NORA. Sia tu che
io dovremmo cambiare in modo tale da... Ah Torvald, io non credo più ai
miracoli.
HELMER. Ma
voglio crederci io. Dimmelo. “Cambiare in modo tale da...”?
NORA. Da trasformare
la nostra convivenza … in un matrimonio.
Addio. (Esce).
HELMER (si
getta su di una poltrona vicino alla porta e si copre il viso con le mani).
Nora! Nora! (Si guarda intorno esi alza in piedi). Qui è rimasto il vuoto!
Lei non c'è più. (Si fa strada in lui una speranza). Il ‘miracolo...’!?
(Da
basso si sente sbattere il portone).
* * *
da "IL PICCOLO PRINCIPE"
di Antoine de Saint-Exupéry
cap. XXI
Volpe Buon giorno.
Piccolo
Principe
(asciugandosi gli occhi e voltandosi incuriosito verso l'albero) - Buon
giorno. Ma dove sei?
Volpe Sono qui, sotto il melo...
Piccolo
Principe
Chi sei? Sei molto carina...
Volpe Sono una Volpe.
Piccolo
Principe
Vieni a giocare con me, sono così
triste...
Volpe Non posso giocare con te, non sono
addomesticata.
Piccolo
Principe
Ah! scusa. Ma che cosa vuoi dire
"addomesticare"?
Volpe Non sei di queste parti, tu, che cosa cerchi?
Piccolo
Principe Cerco gli uomini. Che cosa vuoi dire
"addomesticare"?
Volpe Gli uomini! Hanno dei fucili e cacciano. E' una
cosa molto noiosa! Allevano anche delle galline. Questi sono i loro soli interessi.
Tu cerchi delle galline?
Piccolo
Principe
No. Cerco degli amici. Che cosa vuoi
dire "addomesticare"?
Volpe E' una cosa dimenticata da molto molto tempo.
Vuoi dire "creare dei legami"...
Piccolo
Principe
Creare dei legami?
Volpe Certo: tu, fino ad ora, per me, non sei che un
ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu
hai bisogno di me. lo non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi.
Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l'uno dell'altro. Tu sarai per me
unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo.
Piccolo
Principe
Comincio a capire. C'è un fiore... una
rosa. Credo che mi abbia addomesticato...
Volpe E' possibile. Capita di tutto sulla Terra...
Piccolo
Principe Oh! La mia rosa non è sulla Terra.
Volpe Su un altro pianeta?
Piccolo
Principe Sì.
Volpe E… ci sono dei cacciatori su questo pianeta?
Piccolo
Principe No.
Volpe Oh! Questo mi interessa davvero! E delle
galline?
Piccolo
Principe No.
Volpe Non c'è mai niente di perfetto. La mia vita è
monotona. lo do la caccia alle galline, e gli uomini danno la caccia a me. E io
mi annoio. Ma se tu mi addomestichi, la mia vita sarà come illuminata.
Conoscerò un rumore di passi che sarà diverso da tutti gli altri. Gli altri
passi mi fanno nascondere sotto terra. Il tuo, mi farà uscire dalla tana, come
una musica. E poi, guarda! Vedi, laggiù in fondo, dei campi di grano? lo non
mangio il pane, e il grano per me è inutile. I campi di grano non mi ricordano
nulla. E questo è triste! Ma tu hai dei capelli color dell'oro. Allora sarà
meraviglioso quando mi avrai addomesticato. Il grano, che è dorato, mi farà
pensare a te. E amerò il rumore del vento nel grano... Per favore...
addomesticami.
Piccolo
Principe
Volentieri, ma non ho molto tempo, però.
Devo scoprire molti amici, e conoscere
molte cose.
Volpe Non si conoscono che le cose che si
addomesticano. Gli uomini non hanno più tempo per conoscere
nulla.
Comprano dai mercanti le cose già fatte. Ma siccome non esistono mercanti
d'amici, gli uomini non
hanno
più amici. Se tu vuoi un’amica, addomesticami! E quando mi avrai addomesticata,
ed io sarò tua amica, ti regalerò un segreto.
Piccolo
Principe
Che cosa bisogna fare?
Volpe
Bisogna essere molto pazienti. In
principio tu ti sederai un po' lontano da me, così, sull'erba. lo ti guarderò
con la coda dell'occhio e tu non dirai nulla. Le parole sono una fonte di
malintesi. Ma ogni giorno tu potrai sederti un po' più vicino... Sarebbe meglio
ritornare qui alla stessa ora. Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle
quattro, dalle tre io comincerò ad essere felice. Col passare dell'ora la mia
felicità aumenterà. Quando saranno le quattro, io comincerò ad agitarmi ed ad
inquietarmi; scoprirò così il prezzo della felicità! Ma se tu vieni non si sa
quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore... I riti sono proprio
necessari.
Piccolo
Principe Che cos'è un
rito?
Volpe
Anche questa è una cosa da tempo
dimenticata. E' quello che fa un giorno diverso da tutti gli altri giorni,
un'ora dalle altre ore. Presso i miei cacciatori, per esempio, c’è un rito: il
giovedì ballano con le ragazze del villaggio. Allora il giovedì è un giorno
meraviglioso! Ed io posso spingermi sino alla vigna…
Il
Piccolo Principe tende lentamente la mano alla Volpe.
La
volpe, con molta cautela, gli si avvicina tendendogli a sua volta la mano.
Le
mani si toccano.
Volpe
Sai... alla tua partenza io piangerò.
Piccolo
Principe La colpa è
tua, io non ti volevo fare del male, ma tu hai voluto che ti addomesticassi...
Volpe
E' vero.
Piccolo
Principe Eppure
piangerai!
Volpe
Certo.
Piccolo
Principe Ma allora
che ci guadagni ad essere addomesticata?
Volpe
Ci guadagno il colore del grano.
Piccolo
Principe Io ora devo
andare. Devo tornare dalla mia rosa, l’ ho lasciata sola sul mio pianeta per
tanto tempo. Addio.
Volpe
Addio. Ecco il mio segreto. E' molto
semplice: Non si vede bene che col
cuore. L'essenziale è invisibile agli occhi.
Piccolo
Principe "...
L'essenziale è invisibile agli occhi..."
Volpe
E' il tempo che tu hai perduto con la
tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante.
Piccolo
Principe "... E'
il tempo che ho perduto con la mia rosa..."
Volpe
Gli uomini hanno dimenticato questa verità. Ma
tu non devi dimenticarla. Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai
addomesticato. Tu sei responsabile della tua rosa... Addio.
Piccolo
Principe "... lo
sono responsabile della mia rosa..." Addio.
* * *
da "GIULIO CESARE"
di William Shakespeare
ORAZIONE DI ANTONIO
Scalinata antistante il Senato. Da una parte il cadavere di
Cesare coperto dal suo mantello insanguinato. Accanto al corpo Antonio, in
atteggiamento raccolto e commosso.
La folla che riempie la piazza,
accorsa alla notizia della morte del tiranno, rumoreggia, manifestando
sentimenti contrastanti, anche palesemente ostili ad Antonio. Antonio cerca di
calmare gli animi con i gesti e con le parole.
Uomini Silenzio! Silenzio! Ora ascoltiamo Antonio.
Ma cosa ci può dire Antonio?
Finalmente Bruto ha ucciso il
tiranno!
Donne Ascoltiamo Antonio!
Sentiamo
cosa ha da dire.
Sì, sentiamolo!.
ANTONIO
Amici, concittadini. Romani, io
vengo a seppellire Cesare, non a lodarlo.
Il
male che l'uomo fa, vive oltre lui stesso, il bene spesso rimane sepolto con le
sue ossa. Oggi il nobile Bruto vi ha detto che Cesare era ambizioso. Grave
colpa, se ciò fosse vero. E Cesare con grave pena l'avrebbe scontata.
Ora
io, con il consenso di Bruto e degli altri, poiché Bruto è uomo d’onore - e
anche gli altri sono tutti, tutti uomini d’onore! - io vengo a parlarvi di questo
Cesare morto.
Era
mio amico fedele, è stato sempre giusto con me - ma Bruto afferma che era
ambizioso; e Bruto è uomo d’onore.
Sulle
sofferenze dei miseri Cesare piangeva. Un ambizioso dovrebbe avere una scorza
più dura di questa. Ma Bruto sostiene che Cesare era ambizioso: e Bruto è uomo
d’onore.
Ora
ditemi: quanti prigionieri Cesare ha portato in catene a Roma? L’oro dei loro
riscatti hanno riempito le casse della Repubblica! Era ambizioso Cesare, quando
faceva questo?
Tutti voi mi
avete visto, alla festa dei Lupercali, per tre volte offrire a Cesare la corona
di Re, e avete visto Cesare per tre volte rifiutarla. Lo faceva per ambizione? Ma
Bruto afferma che Cesare era ambizioso, e Bruto è uomo d'onore.
Uomini Ma che cosa dice Antonio?
Dice la verità. Io ero là.
Donne Allora perché lo
hanno ucciso?
Cesare
non era un uomo malvagio!
Era
un vero romano, Cesare!
ANTONIO
Ma io non vengo
qui a smentire Bruto, voglio soltanto dirvi quello che so.
Tutti voi amaste
Cesare un tempo, e non senza motivo!. Che cosa allora vi vieta oggi di compiangerlo?
Perché il buon
senso fugge dagli uomini per rifugiarsi tra le belve? Oh, perdonatemi amici, il
mio cuore giace là con Cesare, e io debbo aspettare che esso ritorni in me.
Uomini C’è del vero in quello che dice Antonio.
Guardate come è commosso.
Antonio ha gli occhi pieni di lacrime.
Donne Antonio
ha perduto un grande amico.
Cosa
ci chiedi Antonio?
Cosa vuoi da noi, ora?
ANTONIO
Soltanto ieri la
parola di Cesare scuoteva il mondo, ed ora lui giace là, ucciso dai suoi! Signori,
signori. Se io venissi qui per scuotere il vostro cuore, la vostra mente, per
muovervi all'ira, io farei un torto a Bruto e a Cassio, uomini d'onore. No, no,
non farò loro un tale torto. Oh, preferirei farlo a me stesso, a questo morto,
a voi, piuttosto che a uomini d'onore quali essi sono. E tuttavia io ho qui con
me, una pergamena con i sigilli di Cesare. Il suo testamento.
Donne Il testamento di
Cesare?
Leggilo, Antonio..
Sì leggilo. Leggilo!
Uomini Leggilo. Vogliamo saperne di più
Insomma,
leggilo, Antonio!
Sii coraggioso! Leggi
cosa c’è scritto!
ANTONIO
Ebbene, se il
popolo conoscesse questo testamento, che io non posso leggervi, perdonatemi, il
popolo si getterebbe sulle ferite di Cesare per baciarle, per toccare il suo
sacro sangue.
Uomini Vogliamo sapere tutto.
Sì. Vogliamo sapere.
Abbiamo diritto di sapere, Antonio!
Donne Leggilo!
Ti scongiuriamo!
Vogliamo sapere.
Su,
leggilo! Leggilo!
ANTONIO
No, no amici,
no. Voi non siete pietra, non siete legno. Meglio per voi ignorare, ignorare
che Cesare vi aveva fatto suoi eredi,
Donne Allora
Cesare ci amava.
Assassini! Assassini!
Ci
hanno tolto un padre… Un padre!
Uomini Nobile Cesare!
Hanno ucciso il nostro benefattore!
Sono dei traditori!
Tutti Traditori!
Traditori!
ANTONIO
Dovrei dunque
tradire gli uomini d’onore che hanno pugnalato Cesare?
Uomini Sì! Non sono uomini d’onore!
Sono loro i traditori!
Assassini! Vendicheremo Cesare!
Donne Morte
ai traditori!
Giustizia!
Vogliamo giustizia!
ANTONIO
E allora qui!
Venite tutti qui, intorno a questo morto, e se avete ancora lacrime, preparatevi
a versarle. Tutti voi conoscete questo mantello. Ebbene qui, in questo mantello
si è aperta la strada il pugnate di Cassio… e quello di Bruto, il figlio
prediletto di Cesare!
Donne Che
orrore!
Cesare! Cesare! Perché
tanto strazio?
Guardate
che scempio ne hanno fatto!
Uomini Quanto sangue! Quanto sangue!
Quanta ferocia!
Assassini!
ANTONIO
E quando Bruto
estrasse il suo coltello maledetto, fu allora che il possente cuore si spezzò.
E, con il volto coperto da quel mantello, il grande Cesare cadde. Tutti, tutti,
io voi, tutti cademmo in quel momento.
Uomini Cesare era un amico!
Hanno assassinato il nostro amico!
Assassini!
Donne Assassini!
Assassini!
La pagheranno cara!
Morte
ai traditori di Roma!
ANTONIO
Che, ah, adesso
piangete!? Dopo aver visto soltanto le ferite del suo mantello? Guardatelo
allora, il vostro Cesare, lacerato dai traditori.
Uomini Per gli dei! Quanto scempio!
Massacrato! Lo hanno massacrato!
Traditori! Infami traditori!
Donne Il
sangue di Cesare ricada sui traditori!
Tutti
devono pagare il sangue di Cesare!
Salvaci tu, Antonio!
Uomini Salvaci dai traditori!
Non meritano pietà!
Cesare,
amico nostro, sarai vendicato!
Tutti Sì!
Noi ti vendicheremo, Cesare!
ANTONIO
No, no, amici, cari
amici, no, non fate che sia io a sollevarvi in questa tempesta di ribellione! Uomini
d'onore sono coloro che hanno lacerato Cesare… ed io non sono che un uomo che
amava il suo amico e che vi parla, semplice e schietto, di ciò che voi stessi
vedete. Le ferite, le ferite del buon Cesare sono oggi delle povere bocche
mute. Ma se ogni ferita potesse gridare il suo dolore, spingerebbe anche le
pietre di Roma a sollevarsi, a rivoltarsi contro gli assassini di Cesare!
Tutti Cesare amico!
Cesare buono!
Cesare padre!
O nostro Cesare!
* * *
* * *
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PAGINE
da William Shakespeare
(traduzione e adattamento by Gius)
HAMLET
Da
CAVALLERIA RUSTICANA
di G.
Verga (adattamento di Targioni-Tozzetti-Menasci)
Santuzza e Lucia
SANTUZZA
(entrando)
Mamma Lucia, vi devo parlare…
LUCIA
(sorpresa)
Sei tu? Che vuoi?
SANTUZZA
Dov’è Turiddu?
LUCIA
A questo siamo arrivati! Vieni a cercare mio figlio
qui, a casa mia?
SANTUZZA
Perdonatemi, mamma Lucia!Voglio solo
sapere dove posso trovarlo.
LUCIA
Non lo so, non lo so, non voglio storie! Vedetevela tra di voi!
SANTUZZA
Mamma Lucia, vi supplico,come Maddalena con Gesù Cristo,ditemi, per carità,
dov'è Turiddu...
LUCIA
Ieri è andato giù
a Francofonte, a comperare il vino…
SANTUZZA
No! Questa notte l'hanno visto qui,
in paese.
LUCIA
Ma che mi dici? Stanotte Turiddu non è
tornato a casa! (avviandosi verso l'uscio di casa) Vieni qui. Entra!
SANTUZZA
(disperata) No!
Non posso entrare in casa vostra... Sono scomunicata!
Alfio,
Santuzza e Lucia
ALFIO
Salute a voi, Mamma Lucia, e a
voi comare Santa! Oggi è festa. E sono contento di
stare a casa, a festeggiare la pasqua con mia
moglie!
LUCIA
Beato voi, compare Alfio,
che siete sempre così allegro!
ALFIO
Mamma Lucia, ne avete ancora di quel vecchio vino?
LUCIA
E’ quasi finito; ma
Turiddu è andato a prenderlo a Francofonte.
ALFIO
Ah, sì? Ma guarda! M’era sembrato di
averlo visto stamattina proprio
vicino a casa mia.
LUCIA (sorpresa) Come?
SANTUZZA (rapidamente,le
fa segno di tacere) Sssst!
(dalla chiesa si
odono canti)
ALFIO
E allora,
io me ne vado. Lola mi aspetta. Ci vediamo in chiesa. (esce)
Santuzza e Lucia
LUCIA
Perché mi hai fatto segno di stare
zitta? Tu che cosa ne sai
di mio figlio?
SANTUZZA
Ah! Quale spina ho nel cuore!
LUCIA
Parlami chiaro, Santuzza! Oggi è Pasqua. Dimmi tutta la
verità, nel nome del Signore risorto.
SANTUZZA
Voi lo sapete, mamma, che prima di
partire soldato, Turiddu aveva giurato
a Lola che al suo ritorno se la sarebbe sposata.Ma quando tornò, Lola si era
già maritatacon compare Alfio, col carrettiere… E Turiddu,
per spegnere la fiamma che gli bruciava dentro,
si cercò un altro amore.
Mi amò. E io lo amai. Ma Lola, invidiosa, incurante di
suo marito, bruciava di gelosia...
E me lo ha rubato...
sì, me lo ha rubato! E io rimango sola e disonorata!
Lola e Turiddu si
amano, mamma Lucia! Si amano, si amano! E io piango, piango!
LUCIA
Signore
mio, che cosa vieni a dirmiin questo santo giorno?
SANTUZZA
Che sono dannata! (singhiozza)
Andate in chiesa, mamma, andate voi
a pregare Iddio, … e per me. Turiddu verrà qui, di sicuro.
Voglio supplicarlo ancora
una volta !
LUCIA
(uscendo
verso la chiesa)
Aiutatela voi, Vergine
santa ! (esce)
Santuzza e Turiddu
TURIDDU
(entrando) Tu qui, Santuzza?
SANTUZZA
Sì. Ti stavo aspettando.
TURIDDU
Oggi è Pasqua, tu non ci
vai in chiesa?
SANTUZZA
Non ci vado.
Debbo parlarti...
TURIDDU
Dov’è mia madre….
SANTUZZA
Ti devo parlare...
TURIDDU
No! Qui no!
SANTUZZA
Da dove vieni?
Dove sei stato?
TURIDDU
Che significano queste domande?Sono stato a Francofonte, a
comprare il vino!
SANTUZZA
No, non è vero!
TURIDDU
Santuzza, mi devi credere…
SANTUZZA
No, non mentire;con questi miei occhi mi sono
accortache ti avviavi in fondo
al sentiero... Poi giravi e tornavi indietro. E stamattina, all'alba, ti
hanno vistovicino alla casa di Lola.
TURIDDU
Ah! mi hai spiato?
SANTUZZA
No, te lo giuro. Ce lo
ha detto compare Alfio, suo marito, proprio
poco fa.
TURIDDU
E’ così che mi
ricambi l'amore che ti porto? Che cosa vai dicendo? Che cosa vuoi? che quello
mi uccida?
SANTUZZA
Oh! questo non lo dire...
non lo dire!
TURIDDU
Allora lasciami perdere,
vattene via!Non ho bisogno della tua pietà.
SANTUZZA
Tu l'ami?
TURIDDU
Chi?
SANTUZZA
Lola!
TURIDDU
No!
SANTUZZA
Lola è assai più bella di
me...
TURIDDU
Stai zitta! non l'amo.
SANTUZZA
L'ami... Oh! maledetta!
TURIDDU
Santuzza!
SANTUZZA
Quella
cattiva femmina ti ha stregato!
TURIDDU
Bada, Santuzza, io non sono
il tuo schiavo!E mi fai pena, per
questa tua stupida gelosia!
SANTUZZA
Allora
picchiami, insultami! Io ti amo e ti perdono,ma la mia angoscia è più forte
di me.
Lola,
Santuzza e Turiddu
LOLA (dentro la scena,
cantando)
Fior di giaggiolo,
gli angeli belli stanno a mille in cielo,
ma bello come lui ce n'è
uno solo.
(entra)
LOLA (sarcastica) Oh! Turiddu... è
passato Alfio, per caso?
TURIDDU (impacciato) Non lo so.Son giunto in piazza
in questo momento…
LOLA
Mah! Forse è rimasto
dal maniscalco.Ma non può tardare,dobbiamo andare a messa…
(ironica) E... voi... sentite le funzioni standovene in piazza?
TURIDDU
Santuzza mi stava
raccontando...
SANTUZZA (tetra)
Gli stavo dicendo
che oggi è Pasqua e il Signore vede tutto!
LOLA
E allora? Non venite in chiesa?
SANTUZZA
Io no. In chiesa
ci deve andare chi è sicuro di non avere peccati
sulla coscienza.
LOLA
Io ringrazio il Signore e bacio in terra!
SANTUZZA (ironica)
Oh, brava!
fate bene, fate bene, Lola!
TURIDDU (a Lola)
Andiamo, andiamo via!Qui non abbiamo altro
da fare.
LOLA (ironica)
Oh! Per me … Rimanete pure!
SANTUZZA (a Turiddu)
Sì, resta, resta, devo
dirti ancora una cosa!
LOLA E
v'assista il Signore: io me ne vado. (esce)
Santuzza e Turiddu
TURIDDU (irato)
Ah! che hai detto?
Maledetta sfacciata!
SANTUZZA
L'hai voluto tu! E ben ti sta.
TURIDDU (le s'avventa)
Ah! Io…!
SANTUZZA
Squarciami il petto!
Scannami!
TURIDDU (s'avvia)
No! No!
SANTUZZA (trattenendolo)
Turiddu, ascolta!
TURIDDU
Va'!
Va'! Va'!!!
SANTUZZA
No, Turiddu, aspetta!
aspetta solo un poco.Dimmelo chiaro: vuoi abbandonarmi?
Vuoi abbandonarmi davvero? Dimmelo
qui…
TURIDDU
Perché mi hai pedinato?
Perché mi hai spiato?
SANTUZZA
Guardami… Lo vedi? Sono io,
la tua Santuzza…La tua Santuzza
che piange e che t'implora;come puoi cacciarmi così?
TURIDDU
Vattene, ti ripeto! Vattene!
Non seccarmi.E’ inutile
pentirsi dopo l'offesa!E vattene!
SANTUZZA (minacciosa)
Bada!
TURIDDU
Di te e dell'ira tua, non
me ne importa niente! (la getta a terra e fugge in chiesa)
SANTUZZA
(nel colmo dell'ira) Traditore! Spergiuro!(grida:)
A te la mala Pasqua, maledetto!
(cade affranta ed angosciata)
FILUMENA E c'è bisogno d' 'o dicere accussi, comm' 'o ddice tu? Ched'è, na nuvità? Nun 'o ssanno tutte quante, io chi so' stata, e addò stevo? Però, addò stev'io, ce venive tu... Tu nzieme all'ate! Int’a chilli vascie... (Marca la parola) I bassi... A San Giuvanniello, a Furcella, 'e Tribunale! Nire, affummecate... addò 'a stagione nun se rispira p' 'o calore pecché 'a gente è assaie, e 'a vvierno 'o friddo fa sbattere 'e diente... Addò nun ce sta luce manco a mieziuorno... Io parlo napoletano, scusate... Dove non c'è luce nemmeno a mezzogiorno... Chin' 'e ggente! Addò è meglio 'o friddo c' 'o calore... Dint' a nu vascio 'e chille, 'o vico San Liborio, ce stev'io c' 'a famiglia mia. Quant'èramo? Nun m' 'o rricordo! Ce coricàvemo senza di': «Buonanotte! » Ce scetàvemo senza di': «Bongiorno! » Una parola bbona, me ricordo ca m' 'a dicette pàtemo... Tenevo tridece anne. Me dicette: «Te staie facenno grossa, e ccà nun ce sta che magnà, 'o ssaje? » E 'o calore! ...'A notte, quanno se chiudeva 'a porta, nun se puteva rispirà. 'A sera ce mettévemo attuorno 'a tavula... Unu piatto gruosso e nun saccio quanta furchette. Forse nun era overo, ma ogne vota ca mettevo 'a furchetta dint' 'o piatto, me sentevo 'e guardà. Pareva comme si m' 'avesse arrubbato, chellu magnà! ...Tenevo diciassett'anne. Passàveno 'e ssignurine vestite bbene, cu' belli scarpe, e io 'e guardavo... Passàveno sott' 'o braccio d' 'e fidanzate. Na sera ncuntraie na cumpagna d' 'a mia, che manco 'a cunuscette talmente steva vestuta bbona... Forse, allora, me pareva cchiù bello tutte cose... Me dicette (sillabando): «Così... Così... Così...» Nun durmette tutt a notte... o calore... 'o calore... E cunuscette a tte! (Domenico trasale). Là, te ricuorde?.. Chella «casa» me pareva na reggia... Turnaie na sera 'o vico San Liborio, 'o core me sbatteva. Pensavo: «Forse nun me guardaranno nfaccia, me mettarranno for' 'a porta!» Nessuno mi disse niente: chi me deva 'a seggia, chi m'accarezzava... E me guardavano comm' a una superiore a loro, che dà soggezione... Sulo mammà, quanno 'a iette a salutà, teneva ll'uocchie chin' 'e lagreme... 'A casa mia nun ce turnaie cchiù!
FILUMENA (avvilita per l'incomprensione, con disprezzo) Ma statte zitto! Ma è possibile ca vui uommene nun capite maie niente? ...Qua' denare, Dummi'? Astipatille cu bbona salute 'e denare. È n'ata cosa che voglio 'a te... e m' 'a daie! Tengo tre figlie, Dummi'!
DOMENICO Tre figlie?! Filume', ma che staie dicenno?
FILUMENA (macchinalmente, ripete) Tengo tre figlie, Dummi' !
DOMENICO (smarrito) E... a chi so' figlie?
FILUMENA (fredda) A ll'uommene comm' a tte!
DOMENICO Filume'... Filume', tu staie pazzianno!
DOMENICO Addò stanno? Che ffanno? ... E … Comme càmpano?
FILUMENA Cu' 'e denare tuoie!
DOMENICO (sorpreso) Ch’’e denare mieie?
FILUMENA Eh, cu' 'e denare tuoie. T'aggio arrubbato! T'arrubbavo 'e denare 'a dint' 'o portafoglio!
DOMENICO (disgustato) Ma che femmena si' tu?
FILUMENA (Quasi gridando) Ma io nun ll'aggio accise 'e figlie! Vinticinc'anne ce aggio penzato! E l'aggio crisciuto, l'aggio fatto uommene, aggio arrubbato a tte … pè falle crescere!...
FILUMENA (felice) Dummi', sto chiagnenno... Quant'è bello a chiàgnere...
DOMENICO (stringendola teneramente a sé) È niente... è niente. He curruto... he curruto... te si' mmisa appaura... si' caduta... te si' aizata... He penzato, e 'o ppenzà stanca... Mo nun he 'a correre cchiu, non he 'a penzà cchiu... Ripòsate! ... 'E figlie so' ffiglie... Hai ragione, Filume', hai ragione tu!
* * *
Da FILOMENA MARTURTANO
Da FILOMENA MARTURTANO
di Eduardo De Filippo
DOMENICO (con disprezzo) Malafemmena! Malafemmena si' stata, e tale si'
rimasta!
FILUMENA E c'è bisogno d' 'o dicere accussi, comm' 'o ddice tu? Ched'è, na nuvità? Nun 'o ssanno tutte quante, io chi so' stata, e addò stevo? Però, addò stev'io, ce venive tu... Tu nzieme all'ate! Int’a chilli vascie... (Marca la parola) I bassi... A San Giuvanniello, a Furcella, 'e Tribunale! Nire, affummecate... addò 'a stagione nun se rispira p' 'o calore pecché 'a gente è assaie, e 'a vvierno 'o friddo fa sbattere 'e diente... Addò nun ce sta luce manco a mieziuorno... Io parlo napoletano, scusate... Dove non c'è luce nemmeno a mezzogiorno... Chin' 'e ggente! Addò è meglio 'o friddo c' 'o calore... Dint' a nu vascio 'e chille, 'o vico San Liborio, ce stev'io c' 'a famiglia mia. Quant'èramo? Nun m' 'o rricordo! Ce coricàvemo senza di': «Buonanotte! » Ce scetàvemo senza di': «Bongiorno! » Una parola bbona, me ricordo ca m' 'a dicette pàtemo... Tenevo tridece anne. Me dicette: «Te staie facenno grossa, e ccà nun ce sta che magnà, 'o ssaje? » E 'o calore! ...'A notte, quanno se chiudeva 'a porta, nun se puteva rispirà. 'A sera ce mettévemo attuorno 'a tavula... Unu piatto gruosso e nun saccio quanta furchette. Forse nun era overo, ma ogne vota ca mettevo 'a furchetta dint' 'o piatto, me sentevo 'e guardà. Pareva comme si m' 'avesse arrubbato, chellu magnà! ...Tenevo diciassett'anne. Passàveno 'e ssignurine vestite bbene, cu' belli scarpe, e io 'e guardavo... Passàveno sott' 'o braccio d' 'e fidanzate. Na sera ncuntraie na cumpagna d' 'a mia, che manco 'a cunuscette talmente steva vestuta bbona... Forse, allora, me pareva cchiù bello tutte cose... Me dicette (sillabando): «Così... Così... Così...» Nun durmette tutt a notte... o calore... 'o calore... E cunuscette a tte! (Domenico trasale). Là, te ricuorde?.. Chella «casa» me pareva na reggia... Turnaie na sera 'o vico San Liborio, 'o core me sbatteva. Pensavo: «Forse nun me guardaranno nfaccia, me mettarranno for' 'a porta!» Nessuno mi disse niente: chi me deva 'a seggia, chi m'accarezzava... E me guardavano comm' a una superiore a loro, che dà soggezione... Sulo mammà, quanno 'a iette a salutà, teneva ll'uocchie chin' 'e lagreme... 'A casa mia nun ce turnaie cchiù!
DOMENICO Ma 'e denare! ‘E denare nun
te l'aggio date? Domenico Soriano, nun t’a messo in condizione a nun avé
bisogno 'e nisciuno?
FILUMENA (avvilita per l'incomprensione, con disprezzo) Ma statte zitto! Ma è possibile ca vui uommene nun capite maie niente? ...Qua' denare, Dummi'? Astipatille cu bbona salute 'e denare. È n'ata cosa che voglio 'a te... e m' 'a daie! Tengo tre figlie, Dummi'!
DOMENICO Tre figlie?! Filume', ma che staie dicenno?
FILUMENA (macchinalmente, ripete) Tengo tre figlie, Dummi' !
DOMENICO (smarrito) E... a chi so' figlie?
FILUMENA (fredda) A ll'uommene comm' a tte!
DOMENICO Filume'... Filume', tu staie pazzianno!
FILUMENA E nun fa' sta faccia! Nun te mettere paura: nun so' figlie a te.
.
DOMENICO Addò stanno? Che ffanno? ... E … Comme càmpano?
FILUMENA Cu' 'e denare tuoie!
DOMENICO (sorpreso) Ch’’e denare mieie?
FILUMENA Eh, cu' 'e denare tuoie. T'aggio arrubbato! T'arrubbavo 'e denare 'a dint' 'o portafoglio!
DOMENICO (con disprezzo) Io tenevo 'a mariola dint' 'a casa!
FILUMENA (imperterrita) T'aggio arrubbato, sì! Te vennevo 'e vestite, 'e
scarpe! E nun te ne si' maie accorto! Chill'aniello c' 'o brillante, t' 'o
ricuorde? Te dicette ca ll'avevo perduto: m' 'o vennette. Cu' 'e denare tuoie,
aggio crisciuto 'e figlie mieie.
DOMENICO (disgustato) Ma che femmena si' tu?
FILUMENA (Quasi gridando) Ma io nun ll'aggio accise 'e figlie! Vinticinc'anne ce aggio penzato! E l'aggio crisciuto, l'aggio fatto uommene, aggio arrubbato a tte … pè falle crescere!...
DOMENICO (dominando i suoi nervi) Filume', ma tu 'o ccapisce chello c'he
fatto?
FILUMENA (con uno scatto improvviso) E che avev’’a fa’? Ll'avev' 'a
accidere? ...Chesto avev' 'a fa',
Dummi'? Ll 'avev , 'a accidere comme fanno tant'ati ffemmene? Allora si,
è ove', allora Filumena sarria stata bbona? (Incalzando) rispunne!...E chesto
me cunzigliavano tutt' 'e ccumpagne meie 'e llà ncoppo... (Allude al lupanare)
«A chi aspetti? Ti togli il pensiero!» (Cosciente) E chi avesse pututo campà cu'
nu rimorso 'e chillo? E po', io parlaie c' 'a Madonna! 'A Madunnella d' 'e
rrose…
(rievocando il suo incontro mistico) Erano'e tre doppo mezanotte. P' 'a strada cammenavo io sola. D' 'a casa mia già me n'ero iuta 'a sei mise. (Alludendo alla sua prima sensazione di maternità) Era 'a primma vota! E che ffaccio? A chi 'o ddico? Sentevo ncapo a me 'e vvoce d' 'e ccumpagne meie: «A chi aspetti! Ti togli il pensiero! Io cunosco a uno molto bravo...» Senza vulé, cammenanno cammenanno, me truvaie dint' 'o vico mio, nnanz' all'altarino d' 'a Madonna d' 'e rrose. L'affruntaie accussi (Punta i pugni sui fianchi e solleva lo sguardo verso una immaginaria effige, come per parlare alla Vergine da donna a donna): «C'aggi' 'a fa'? Tu saie tutto... Saie pure pecché me trovo int' 'o peccato. C' aggi' 'a fa'?» Ma essa zitto, nun rispunneva. (Eccitata) «E accussi ffaie, è ove'? Cchiu nun parle e cchiu'a gente te crede? ...Sto parlanno cu' te! (Con arroganza vibrante) Rispunne!» (Rifacendo macchinalmente il tono di voce di qualcuno a lei sconosciuto che, in quel momento, parlò da ignota provenienza) «'E figlie so' ffiglie! » Me gelaie. Rummanette accussi, ferma. (S’irrigidisce fissando l’effige immaginaria) Forse si m'avutavo avarria visto o capito 'a do' veneva 'a voce: 'a dint' a na casa c' 'o balcone apierto, d' 'o vico appriesso, 'a copp' a na fenesta... Ma penzaie: «E pecché proprio a chistu mumento? Che ne sape 'a ggente d' 'e fatte mieie? È stata Essa, allora... È stata 'a Madonna! S'è vista affruntata a tu per tu, e ha vuluta parlà... E nun saccio si fuie io a 'a Madonna d' 'e rrose ca facette c' 'a capa accussì! (Fa un cenno col capo come dire: "Si, hai compreso") 'E figlie so' ffìglie!» E giuraie. Ca perciò so' rimasta tant'anne vicino a te... Pe' lloro aggio suppurtato tutto chello ca m' he fatto e comme m'he trattato! E quanno chillu giovane se nnammuraie 'e me, ca me vuleva spusà, te ricuorde? Stevemo già nzieme 'a cinc'anne: tu, ammogliato, 'a casa toia, e io a San Putito, dint' a chelli tre cammere e cucina... 'a primma casarella ca me mettiste quanno, doppo quatt'anne ca ce cunuscévamo, finalmente, me levaste 'a llà ncoppo! (Allude al lupanare) E mme vuleva spusà, 'o povero giovane... Ma tu faciste 'o geluso. Te tengo dint' 'e rrecchie: «Io so' ammogliato, nun te pozzo spusà. Si chisto te sposa...» E te mettiste a chiagnere. Pecché saie chiagnere, tu... Tutt' 'o cuntrano 'e me: tu, saie chiagnere! E lo dicette: «Va buo', chisto è 'o destino mio! Dummineco me vo' bbene, cu tutt' 'a bbona voluntà nun me pò spusà; è ammogliato... E ghiammo nnanze a San Putito dint' 'e tre cammere! » Ma, po', doppo duie anne, tua moglie murette. 'O tiempo passava... e io sempre a San Putito. E penzavo: «È giovane, nun se vo' attaccà pe' tutt' 'a vita cu n'ata femmena. Venarrà 'o mumento ca se calma, e cunsidera 'e sacrificie c'aggiu fatto!» E aspettavo. E quann'io, 'e vvote, dicevo: «Dummi', saie chi s'è spusato? ...Chella figliola ca steva 'e rimpetto a me dint' 'e fenestelle... », tu redive, te mettive a ridere… T'avarria acciso, quanno redive accussì! (Paziente) E aspettammo. E aggio aspettato vinticinc'anne! E aspettammo 'e grazie 'e don Dummineco!
(rievocando il suo incontro mistico) Erano'e tre doppo mezanotte. P' 'a strada cammenavo io sola. D' 'a casa mia già me n'ero iuta 'a sei mise. (Alludendo alla sua prima sensazione di maternità) Era 'a primma vota! E che ffaccio? A chi 'o ddico? Sentevo ncapo a me 'e vvoce d' 'e ccumpagne meie: «A chi aspetti! Ti togli il pensiero! Io cunosco a uno molto bravo...» Senza vulé, cammenanno cammenanno, me truvaie dint' 'o vico mio, nnanz' all'altarino d' 'a Madonna d' 'e rrose. L'affruntaie accussi (Punta i pugni sui fianchi e solleva lo sguardo verso una immaginaria effige, come per parlare alla Vergine da donna a donna): «C'aggi' 'a fa'? Tu saie tutto... Saie pure pecché me trovo int' 'o peccato. C' aggi' 'a fa'?» Ma essa zitto, nun rispunneva. (Eccitata) «E accussi ffaie, è ove'? Cchiu nun parle e cchiu'a gente te crede? ...Sto parlanno cu' te! (Con arroganza vibrante) Rispunne!» (Rifacendo macchinalmente il tono di voce di qualcuno a lei sconosciuto che, in quel momento, parlò da ignota provenienza) «'E figlie so' ffiglie! » Me gelaie. Rummanette accussi, ferma. (S’irrigidisce fissando l’effige immaginaria) Forse si m'avutavo avarria visto o capito 'a do' veneva 'a voce: 'a dint' a na casa c' 'o balcone apierto, d' 'o vico appriesso, 'a copp' a na fenesta... Ma penzaie: «E pecché proprio a chistu mumento? Che ne sape 'a ggente d' 'e fatte mieie? È stata Essa, allora... È stata 'a Madonna! S'è vista affruntata a tu per tu, e ha vuluta parlà... E nun saccio si fuie io a 'a Madonna d' 'e rrose ca facette c' 'a capa accussì! (Fa un cenno col capo come dire: "Si, hai compreso") 'E figlie so' ffìglie!» E giuraie. Ca perciò so' rimasta tant'anne vicino a te... Pe' lloro aggio suppurtato tutto chello ca m' he fatto e comme m'he trattato! E quanno chillu giovane se nnammuraie 'e me, ca me vuleva spusà, te ricuorde? Stevemo già nzieme 'a cinc'anne: tu, ammogliato, 'a casa toia, e io a San Putito, dint' a chelli tre cammere e cucina... 'a primma casarella ca me mettiste quanno, doppo quatt'anne ca ce cunuscévamo, finalmente, me levaste 'a llà ncoppo! (Allude al lupanare) E mme vuleva spusà, 'o povero giovane... Ma tu faciste 'o geluso. Te tengo dint' 'e rrecchie: «Io so' ammogliato, nun te pozzo spusà. Si chisto te sposa...» E te mettiste a chiagnere. Pecché saie chiagnere, tu... Tutt' 'o cuntrano 'e me: tu, saie chiagnere! E lo dicette: «Va buo', chisto è 'o destino mio! Dummineco me vo' bbene, cu tutt' 'a bbona voluntà nun me pò spusà; è ammogliato... E ghiammo nnanze a San Putito dint' 'e tre cammere! » Ma, po', doppo duie anne, tua moglie murette. 'O tiempo passava... e io sempre a San Putito. E penzavo: «È giovane, nun se vo' attaccà pe' tutt' 'a vita cu n'ata femmena. Venarrà 'o mumento ca se calma, e cunsidera 'e sacrificie c'aggiu fatto!» E aspettavo. E quann'io, 'e vvote, dicevo: «Dummi', saie chi s'è spusato? ...Chella figliola ca steva 'e rimpetto a me dint' 'e fenestelle... », tu redive, te mettive a ridere… T'avarria acciso, quanno redive accussì! (Paziente) E aspettammo. E aggio aspettato vinticinc'anne! E aspettammo 'e grazie 'e don Dummineco!
DOMENICO Filumé, tu me vuò mettere cu' 'e spalle nfaccia 'o muro?
FILUMENA (cerca di raccogliere tutti i suoi sentimenti) Siénteme buono,
Dummi', e po' nun ce turnammo cchiu ncoppa. (Con uno slancio d'amore da lungo
tempo contenuto) I’ t'aggio vuluto bene cu' tutt' 'e ftorze d' 'a vita mia!
All'uocchie mieie tu ire nu Dio... e ancora te voglio bene, e forse meglio 'e
primma... Ah, che fatto, Dumml ! ...'E
vuluto suffrì afforza... 'O padreterno t'aveva dato tutto p'essere felice:
salute, presenza, denaro... tu sarrisse
stato ll'ommo generoso c'aveva fatto bene a tre guagliune disgraziate...
(Pausa). Dummi', nuie 'o bello d' 'e
figlie l'avimmo perduto!... 'E figlie so' chille che se teneno mbraccia, quanno
so' piccerille, ca te dànno preoccupazione quanno stanno malate e nun te sanno
dicere che se sènteno... Che te corrono incontro cu' 'e braccelle aperte,
dicenno: «Papà! »... Chille ca 'e vvide 'e venì d' 'a scola cu' 'e manelle
fredde e 'o nasillo russo e te cercano 'a bella cosa... Ma quanno so' gruosse,
quanno song'uommene, o so' figlie tutte quante, o so' nemice... Tu si' ancora a
tiempo. Male nun te ne voglio... Lasciammo sta 'e ccose comme stanno, e ognuno
va p' 'a strada soia! (Filumena avverte qualche cosa alla gola che la fa
gemere. Emette dei suoni quasi simili a un lamento. Infatti fissa lo sguardo
nel vuoto come in attesa di un evento. Il volto le si riga di lacrime come
acqua pura sulla ghiaia pulita e levigata. Domenico preoccupato le si avvicina,
affettuoso)
DOMENICO Filume', ch'è stato?
FILUMENA (felice) Dummi', sto chiagnenno... Quant'è bello a chiàgnere...
DOMENICO (stringendola teneramente a sé) È niente... è niente. He curruto... he curruto... te si' mmisa appaura... si' caduta... te si' aizata... He penzato, e 'o ppenzà stanca... Mo nun he 'a correre cchiu, non he 'a penzà cchiu... Ripòsate! ... 'E figlie so' ffiglie... Hai ragione, Filume', hai ragione tu!
* * *
Da “LA SIGNORA DELLE CAMELIE”
(da A. Dumas f. - Adattamento di F.M. Piave per G. Verdi)
GERMONT
Margherita Gautier?...
MARGHERITA
Sì?...
GERMONT
Sono Giorgio
Germont.
MARGHERITA
Germont…!
GERMONT
Sì, sono il
padre di Armando.
MARGHERITA
Armando non c’è,
signore…
GERMONT
Lo so, … Ma è con te
che desidero parlare. Lo sai che mio
figlio, a causa tua, si sta rovinando?
MARGHERITA
Lei si sbaglia, io
non voglio niente da Armando.
GERMONT
Cioè… mio figlio sarebbe abbastanza stupido e
miserabile da spendere con te il denaro
che tu prendi da altri … e si sa
in che modo!
MARGHERITA (alzandosi risentita)
Signore: sono una
donna, e sono in casa mia: il tono che lei sta
usando con me è offensivo.
La prego di
scusarmi se la lascio qui e mi ritiro; la prego, più che
per lei che per me. (per uscire)
GERMONT
Me lo avevano detto
che sei una creatura pericolosa.
MARGHERITA
Pericolosa? Forse,
ma per me, non per gli altri.
GERMONT
Pericolosa o no, certo
è che Armando si sta rovinando per te!
MARGHERITA
Le ripeto, Signore,
che lei si sbaglia.
GERMONT
Ah, mi sbaglio? Allora
dimmi, che cosa significa questa lettera, in cui il mio notaio mi avverte che Armando
vuol farti donazione di un suo avere.
MARGHERITA
Se Armando ha fatto
questo, lo ha fatto senza dirmelo. Sapeva bene che avrei rifiutato.
GERMONT
E perché?
MARGHERITA
Perché amo Armando,
con tutta la forza che può avere una donna quando Dio le usa misericordia.
GERMONT
Oh… Ecco le grandi
frasi!…. (guardandosi intorno) Eppure, voi vivete
nel lusso, a quanto vedo.
MARGHERITA
Lei mi costringe a
dirle quello che avrei voluto tacere. Guardi questo atto di vendita. (gli porge delle carte)
GERMONT (dopo averle scorse coll'occhio) Cosa significa
questo?
MARGHERITA
Significa che lei
si è sbagliato su di me. Ho un brutto passato, è vero. Ma qualunque cosa le
abbiano detto di me, sappia però che il mio animo è buono: Armando mi ha
trasformata! Mi ha amata, mi ama. Lei è suo padre; e sono sicura che anche lei sarà
buono come lui. La prego: non gli parli
male di me. Le crederebbe,
perché le vuol bene.
GERMONT
Scusami se poco fa
mi sono presentato a te molto male. Sono venuto qui, offeso dal silenzio di mio
figlio. Scusami.
MARGHERITA
Grazie, Signore, di
queste buone parole.
GERMONT (alzandosi)
Ma ora… sto per
chiederti di dare a Armando una grande prova d’amore…
MARGHERITA (alzandosi)
La prego: lei forse sta per chiedermi qualcosa di terribile.
Lo sapevo che sarebbe venuto, prima o
poi. Ero troppo felice.
GERMONT
Ti parlo come un
padre, Margherita, come un padre che viene a chiederti la felicità dei sui due
figli.
MARGHERITA
Di due figli!...
GERMONT
Sì, Margherita. Ho
una figlia, giovane, bella come un angelo. Ama un giovane, e io voglio che si
sposi. Ma la famiglia dell’uomo che deve diventare mio genero, sa di te e di Armando,
e non accetterà mia figlia in casa, se Armando continuerà a stare con te.
MARGHERITA
Ha ragione. Partirò
da Parigi. Mi allontanerò da Armando per un po’. Sarà doloroso, ma voglio
farlo, perché non abbiate nulla da rimproverarmi. Poi, quando sua sorella si sarà
sposata…
GERMONT
Grazie, Margherita;
ma non è questo che ti chiedo.
MARGHERITA
Non è questo? E che
cosa può chiedermi di più?
GERMONT
Ascoltami, figliola
mia…
MARGHERITA
Lei vuole che io
abbandoni Armando per sempre?
GERMONT
Sì. Sì.
MARGHERITA
E’ impossibile!…
Lei non sa quanto ci amiamo? Lei non sa che io non ho amici, né parenti, né
famiglia: e tutta la mia vita è nell’amore di Armando? Lei non sa
che sono malata e che non ho molto da vivere? Lasciarlo? Allora tanto
vale uccidermi subito.
GERMONT
Via, non diciamo
sciocchezze. Ascoltami. Tu conosci Armando
solo da tre mesi, e lo ami. Ma sei
sicura dell’eternità di questo amore? E se tutt’a un tratto vi doveste
accorgere che non vi amate più? Che tu ami un altro?
MARGHERITA
No, non amerò mai nessuno
come ora amo Armando.
GERMONT
E se s’ingannasse
lui? Lo sai che il cuore cambia continuamente? La natura è fatta così. … Mi
ascolti?…
MARGHERITA (colpita)
Oh Dio!
GERMONT
Tu siete disposta a
sacrificare tutto a mio figlio. Ma egli cosa ti darà in cambio? Prenderà i tuoi
anni più belli: più tardi, sfumata la passione – che sfuma sempre – che cosa
accadrà? O Armando ti abbandonerà, come
fanno molti, o ti terrà con sé. Ma di questa unione,
nata senza la benedizione di Dio, che cosa vi resterà, quando sarete
vecchi?
MARGHERITA
È vero!... E’
vero!
GERMONT
Margherita, sei
stata felice tre mesi, con Alfredo: cerca
di conservarne un bel ricordo. Servirà a darti forza: … un giorno sarai
orgogliosa di quello che hai fatto. E’ un padre che ti supplica …
MARGHERITA Lei ha
ragione. Per la donna che ha sbagliato,
Dio forse avrà misericordia, ma il mondo sarà spietato con lei. … Nessuno sarà
disposto a dimenticare la vergogna del tuo passato. Lei ha ragione,
Signore. Tutto quello che lei mi ha detto, me lo sono detto anch’io cento
volte. … Ebbene, Signore,
Lei dirà un giorno a sua figlia che per
lei, proprio per lei, una donna ha
rinunciato a tutto, e s’è spezzato il cuore con le sue stesse mani… e forse
allora Dio, finalmente, mi perdonerà davvero.
GERMONT (commosso)
Margherita!….
MARGHERITA
Lei ha compassione
di me: grazie per queste lacrime, che mi daranno la forza. Lei chiede ch’io
lasci suo figlio per il suo onore, per il suo avvenire … Che debbo fare? Sono
pronta.
GERMONT
Digli che non lo
ami più.
MARGHERITA
… Non mi crederà.
GERMONT
Parti. Allontanati da lui…
MARGHERITA
Inutile! Mi
seguirà.
GERMONT
Allora...
MARGHERITA
Signore, mi dia un
bacio come lo darebbe a sua figlia: e le giuro che questo bacio, il solo
veramente buono che io avrò mai ricevuto, mi darà la forza. Armando tornerà a voi, forse infelice per un
po’ di tempo, ma guarito per sempre: e le giuro anche che non saprà mai nulla
di quanto è avvenuto oggi tra lei e me.
GERMONT
Sei una creatura
splendida, Margherita! Ma ho paura…
MARGHERITA
Non abbia paura di
nulla: Armando mi odierà, lo so. Ancora un ultimo favore …
GERMONT
Dimmi.
MARGHERITA
Tra poco Armando
proverà uno dei più grandi dolori della
sua vita. Gli stia vicino, molto vicino. Ora vada. Potrebbe arrivare
da un momento all’altro, e se la vedesse qui con me…
GERMONT
Che cosa intendi
fare?…
MARGHERITA
Se glielo dicessi,
forse me lo impedirebbe. Ma ormai è troppo
tardi. Ho deciso.
GERMONT
Ma io cosa posso
fare per te?
MARGHERITA
Quando non ci sarò
più, e Armando mi maledirà, gli dica che
lo amavo e che gliene ho data una grande prova…
Sento che viene
gente; vada! Vada! Certo, non ci
vedremo più. Siate tutti felici. Addio. (Germont esce)
* * *
Da “LE AVVENTURE DI PINOCCHIO”
(di Carlo Collodi)
1
PINOCCHIO (scorrazza
per la scena, poi sparisce facendo marameo)
LA FATA
Pinocchio! Pinocchio! Pinocchio!
Niente da
fare.
(al pubblico) Scusate. Abbiate pazienza. E’ così da quando è
nato.
Beh… Da
quando è stato costruito.
Quel
brav’uomo di Geppetto aveva tanto desiderato un figlio e… si sa, noi fate siamo
così sensibili ai desideri degli uomini…
Così una
sera che Geppetto aveva appena finito di intagliare un burattino di legno, a
mezzanotte in punto, pluff! Un colpo
della mia bacchetta magica, e il burattino ha preso vita, proprio come un
bambino vero. Peccato che la testa - ah! la testa! – gli è rimasta di legno di
pino. Ma, fidatevi! Ci vorrà tempo, e
anche la testa diventerà quella di un bambino a modo. Parola di fata!
Adesso
Pinocchio è sulle strade del mondo, e con l’esperienza, imparerà molte cose
utili.
Ecco (guardando in una grossa palla di vetro),
lo vedo alle prese con il Grillo Parlante, il vecchio saggio che gli ho messo
alle costole per guidarlo e proteggerlo nei momenti difficili… (si ritira)
2
GRILLO
Crí-crí-crí!
PINOCCHIO
E tu chi sei?
GRILLO
Io sono il Grillo-parlante, e abito da
queste parti da piú di cent’anni.
PINOCCHIO
Oggi però qui ci sto io e se vuoi
farmi un vero piacere, vattene subito, senza nemmeno voltarti indietro.
GRILLO
Io me ne andrò solo dopo che ti avrò
detto una cosa molto importante.
PINOCCHIO
Allora dimmela e spicciati. Perché
io, a dirtela in confidenza, ho solo voglia di mangiare, bere, dormire,
divertirmi e fare dalla mattina alla sera la vita del vagabondo.
GRILLO
Povero Pinocchio!
PINOCCHIO
Perché mi dici ‘povero’?
GRILLO
Perché sei ancora un burattino e, quel
che è peggio, perché hai la testa di legno.
PINOCCHIO
Chétati una volta per tutte,
grillaccio del malaugurio! (gli lancia
una scarpa)
GRILLO
Crí-crí-crí! (scompare)
3
VOLPE
Buon giorno, Pinocchio.
GATTO
… occhio!
PINOCCHIO
Com’è che sapete come mi chiamo?
VOLPE
Conosciamo bene il tuo babbo, mastro
Geppetto. L’abbiamo visto ieri sulla porta di casa sua. Era in maniche di
camicia e tremava dal freddo.
GATTO
… dal freddo, po… po… verino! Dal
freddo!
PINOCCHIO
Povero babbo! Ma da domani non tremerà
piú!...
VOLPE
Ah, no? E perché?
PINOCCHIO — Perché io sono un
gran signore.
VOLPE
Un gran signore tu? (ride
sguaiatamente)
GATTO
(lisciandosi
i baffi) Tu… tu… tu…!
PINOCCHIO
C’è poco da ridere! Mi dispiace
davvero di farvi venire l’acquolina in bocca, ma questi qui (scopre un panierino), se ve ne intendete, sono
cinque bellissimi zucchini d’oro.
VOLPE
(strabiliata) Ohhhh! E chi te li ha dati?
GATTO
Chi… chi…chi?!?
PINOCCHIO
Me li ha regalati il signor
Mangiafoco, per portarli al mi’ babbo. Io gli ho promesso di essere buono, di
andare a scuola e di studiare …
VOLPE
Oh no! Guarda me! Per la
passione sciocca di studiare ho perso una gamba.
GATTO
Oh no! Guarda me! Per la passione
sciocca di studiare ho perduto la vista di tutti e due gli occhi.
GRILLO
(facendo
capolino da una quinta)
Pinocchio, attento! Non dar retta ai consigli dei cattivi compagni …
GATTO
(salta
addosso al Grillo, poi rientra leccandosi i baffi) Gli ho dato una lezione. Cosí un’altra volta imparerà a non metter bocca nei
discorsi degli altri.
VOLPE (improvvisamente seria)
Pinocchio: vuoi raddoppiare i tuoi
zucchini d’oro?
PINOCCHIO — Cosa?
VOLPE
Vuoi di cinque miserabili zucchini,
farne cento, mille, duemila?
PINOCCHIO — Magari! Ma come?
VOLPE
Facilissimo. Invece di tornartene a
casa, dal tuo babbo, dovresti venir con noi.
PINOCCHIO
Dove?
VOLPE
Nel paese di Acchiappacitrulli.
PINOCCHIO
No. Voglio tornare dal mio babbo che
m’aspetta.
VOLPE
Dunque vuoi proprio andare a casa?
Allora va’, e peggio per te.
GATTO
Peggio per te!
VOLPE
Peccato! tu dai un calcio alla fortuna,
Pinocchio!
GATTO
Alla fortuna!
VOLPE
I tuoi cinque zucchini, dall’oggi al
domani sarebbero diventati duemila.
GATTO
Duemila!
PINOCCHIO
Ma… io mi dico: com’è possibile che diventino tanti?
VOLPE
E io te lo spiego subito. Devi sapere
che nel paese di Acchiappacitrulli c’è un orto meraviglioso, chiamato l’orto
dei miracoli. Tu fai in un angolino di questo orto una piccola buca e ci metti
dentro, per esempio, uno zucchino d’oro. Poi ricopri la buca con un po’ di
terra: l’annaffi con un po’ d’acqua, e te ne vai tranquillamente a letto. Durante
la notte, lo zucchino germoglia e fiorisce, e la mattina dopo, quando torni nell’orto,
che cosa trovi? Trovi un bel cespuglio carico di tanti tanti tanti zucchini
d’oro...
GATTO
… Tanti tanti tanti…
PINOCCHIO
Allora… Allora… Se io piantassi in quell’orto i miei cinque zucchini,
la mattina dopo quanti zucchini ci troverei?
VOLPE
È un conto facilissimo! (al Gatto) Dammi la calcolatrice! (a Pinocchio) Osserva bene. Mettiamo che ogni zucchino produca un grappolo
di cinquecento zucchini: cinque per cinque… venticinque, almeno così dicono! Quindi
cinquecento per cinque… e la mattina dopo ti trovi in tasca duemilacinquecento
zucchini freschi e luccicanti.
PINOCCHIO
Ma che bello! Appena avrò raccolto
tutti questi zucchini, ne prenderò per me duemila e gli altri cinquecento li
darò in regalo a voi due.
VOLPE
(mostrandosi indignata e offesa) Un
regalo a noi? Ma ci mancherebbe altro!
GATTO
Ci mancherebbe altro!
VOLPE
Noi non viviamo per il vile interesse:
noi viviamo solo per arricchire gli altri.
GATTO
Gli altri!
PINOCCHIO
Ma che brave persone! Andiamo, io
vengo con voi.
VOLPE
Seguici, non te ne pentirai…
GATTO
… te ne pentirai!
4
GRILLO
(entrando
sconfortato) È inutile, è inutile! Una testa di legno non diventerà mai
la testa di un bambino a modo. Non ce la farò mai!|
FATA
Ah, Grillo! Mio caro vecchio Grillo! Abbi molta pazienza
e una grande fiducia. E sappi aspettare.
GRILLO
Ma Pinocchio, nelle grinfie della Volpe e del Gatto,
in cammino verso il paese di Acchiappacitrulli…
FATA
Gli ruberanno tutto, e imparerà a sue spese la lezione
della vita, quella che non ha voluto imparare a scuola… Ne vedrà di tutti i colori, ma crescerà, crescerà
… e diventerà un bambino a modo. Già lo vedo nella mia palla di vetro… Purché noi continuiamo a credere in lui,
nonostante tutto, e non smettendo mai di volergli bene…
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PAGINE
da William Shakespeare
(traduzione e adattamento by Gius)
HAMLET
Continare
a vivere, o finirla? Maledetto problema!
Che
cos’è più dignitoso, piegarsi e sopportare pazientemente le frustate del
destino avverso, o afferrare un’arma e smetterla subito, con un sol colpo?
Sì,
morire, dormire, e basta! Addormentarsi e dimenticare tutte le infinite miserie
che sono l’eredità della carne. Ecco una soluzione da implorare a mani giunte!
Morire.
Dormire. Sognare forse. Ah!... Questo è
il punto!
Che
sogni faremo in quel sonno di morte? E chi lo sa…!
Ecco
che cosa ci trattiene, cosa ci inchioda alla croce dell’esistenza!
Ma
chi sopporterebbe gli insulti del tempo
che passa, la boria e il disprezzo degli imbecilli, le pene per l’amore tradito,
le ingiustizie della legge, l’arroganza dei potenti, i calci in faccia dei
mediocri… se da solo, premendo appena un
grilletto, potrebbe saldare il conto e chiuderla lì?
Chi
si adatterebbe a curvare la schiena sotto il peso di una vita da schifo, se non
avesse terrore di qualcosa dopo la morte…?
La morte, quella terra inesplorata da cui nessun viandante ha fatto mai
ritorno!
Ecco
che cosa spiazza la volontà, e ci convince che è meglio sopportare i nostri
mali quotidiani per non rischiare di diventar preda di altri mali sconosciuti.
E’
triste: la coscienza ci rende
vigliacchi!
Giulietta: O Romeo, Romeo, perchè sei tu Romeo? Rinnega
tuo padre e rifiuta il tuo nome. O, se non vuoi farlo, giurami almeno che mi
ami, ed io smetterò di essere una Capuleti. E’ solamente il tuo nome che mi è nemico:
tu saresti sempre lo stesso anche se non fossi un Montecchi. Ma cosa vuol dire
la parola “Montecchi”? Non è che un nome, soltanto un nome! Quello che noi
chiamiamo “rosa”, anche se avesse un nome diverso, conserverebbe ugualmente il
suo dolce profumo. Allo stesso modo Romeo, se portasse un altro nome, avrebbe
sempre quella meravigliosa creatura, anche senza quel nome. Rinuncia quindi al
tuo nome, Romeo, ed in cambio accogli tutta me stessa.
Romeo: Allora te lo prometto. D’ora in poi non sarò
più Romeo.
Giulietta: Chi sei tu, così nascosto dalla notte, che
inciampi nei miei pensieri più nascosti?
Romeo: Non so dirti chi sono, adoperando un
nome. Perchè il mio nome, cara, mi è odioso perchè ti è nemico.
Giulietta: Le mie orecchie non hanno ancora
udito cento parole pronunciate dalla tua bocca, eppure riconosco la tua voce:
non sei forse tu Romeo, uno dei Montecchi?
Romeo:
Non sono ne l’uno ne l’altro, se questo ti dispiace.
Giulietta: E come sei giunto fino a quì? Dai, dimmi come
e perchè. Le mura del cortile sono irte e difficili da scalare, e questo luogo,
considerando chi sei, potrebbe significare la morte se qualcuno ti scoprisse.
Romeo: Ho scavalcato le mura sulle ali dell’amore,
poichè non esiste ostacolo di pietra che possa arrestare il passo dell’amore, e
tutto ciò che amore può fare, trova subito il coraggio di tentarlo.
Giulietta: Se i miei ti vedranno ti
uccideranno. Non vorrei per tutto il mondo che ti scoprissero quì.
Romeo: Il mantello della notte mi nasconderà ai loro
occhi. Se tu mi ami non mi importa che essi mi scoprano.
Giulietta: Chi ti ha guidato fin quì?
Romeo: E’ stato amore, che ha mosso i miei passi,
prestandomi il suo consiglio, ed io gli ho prestato gli occhi.
Giulietta: Tu sai che sul mio volto c’è la
maschera della notte, altrimenti vedresti il rossore sulle mie guancie, a causa
di quello che mi hai sentito dire stanotte. E molto volentieri vorrei rinnegare
tutto ciò che ho detto. Ma tu mi ami? So già che risponderai si, e che io
crederò a ciò che tu dirai. O, nobile Romeo, se davvero mi ami, dillo
apertamente, e se credi che io mi lasci conquistare troppo facilmente, corrugherò
la fronte e sarò cattiva, e mi negherò, cosicchè tu possai corteggiarmi:
altrimenti, non saprei negarti niente per tutto l’oro del mondo.
Romeo: Giulietta,per quella sacra luna che inargenta
le cime di quegli alberi, io ti giuro…
Giulietta: Oh no!, non giurare sulla luna, l’incostante
luna che si trasforma ogni mese nella sua sfera… Ho paura che anche il tuo amore si dimostri
mutevole come la luna.
Romeo: E allora su cosa dovrei giurare?
Giulietta: Non giurare. E se proprio devi farlo,
giura sulla tua stessa persona, che è il dio della mia idolatria: e non potrò
fare a meno di crederti. Ma no, non
giurare. Anche se la tutta la mia
felicià è riposta in te, non riesco a provare nessuna felicità in questo nostro
patto d’amore. Troppo improvviso, troppo
frettoloso e irriflessivo, come il lampo che svanisce prima che si abbia il
tempo di dire: lampeggia. Buona notte dolce amore mio! …Il dolce riposo e la
pace siano nel tuo cuore, e nel mio seno.
Romeo: Mi lasci dunque così insoddisfatto?
Giulietta:
E qual soddisfazione potresti avere tu, stanotte?
Romeo: Lo scambio della tua promessa d’amore.
Gulietta: Il mio amore te l’ho già dato prima ancora che
tu me lo chiedessi: eppure mi piacerebbe non avertelo ancora dato.
Romeo: Vorresti riprendertelo? E perchè
amore mio?
Giulietta: Solo per potertelo dare di nuovo. Eppure non
desidero altro se non ciò che già possiedo. - Sento una voce, da dentro, addio
amore mio. - Vengo subito, mia buona balia. - O mio caro Montecchi, sii fedele a me. Resta
ancora un poco. Torno subito.
Romeo: O notte beata! Temo, perchè siamo di
notte, che tutto questo non si riveli soltanto un sogno, troppo dolce e
lusinghiero per essere fatto di sostanza reale.
Giulietta: Tre parole, caro Romeo, ed un’ultima buona
notte. Se davvero il tuo amore è sincero e la tua intenzione è di sposarmi,
fammelo sapere domani per mezzo di qualcuno che ti manderò, e io deporrò ai tuoi piedi tutte le mie fortune, e
ti seguirò come il mio signore per il mondo intero.
Balia: Giulietta!
Giulietta: Arrivo subito… - Ma se le tue intenzioni non
fossero buone, io ti supplico …
Balia: Giulietta…
Giulietta: Vengo, vengo! - …cessa della tua corte, e
lasciami sola con il mio dolore. Domani
manderò qualcuno. Mille volte buona notte!
Romeo: Mille volte cattiva notte,
invece,ora che la tua luce viene a mancarmi. L’amore corre verso l’amore con la
gioia tipica degli scolarii che fuggono dai loro libri, e all’incontro l’amore
si separa da amore con la stessa delusione che hanno coloro che vanno a scuola.
Giulietta: O Romeo, oh! Potessi avere la voce
di un falconiere, per richiamare a me quest’uccellino!... Romeo!
Romeo: Amore?
Giulietta: a che ora vuoi che, domattina, ti raggiunga il
mio messaggero?
Romeo: Alle nove.
Giulietta: Non ti farò aspettare. È come se fino ad
allora debbano passare venti anni.
Giulietta: E’ quasi giorno. Vorrei che fossi già partito;
ma allo stesso modo vorrei saperti non più lontano di quell’uccellino a cui una
bimba capricciosa permette di saltellare un poco fuori dalla sua mano, e poi, con
un filo di seta, lo richiama a sé, gelosa della sua libertà…
Romeo: Vorrei essere io quell’uccellino.!
Giulietta:
Anche io vorrei che tu lo fossi, amor mio: anche se, per il troppo
amarti, finirei con l’ucciderti. Buona notte, buona notte! Il separarsi è un
dolore così dolce, che ti darei la buonanotte fino a domani mattina!
Romeo: Che il sonno abiti nei tuoi occhi, e la pace scenda
nel tuo cuore! Ah, potessi essere io il sonno e la pace per poter riposare
tanto dolcemente!
MACBETH
atto II, scena II
atto II, scena II
MACBETH: (entra)
E’ fatta. Non hai sentito un rumore?
LADY MACBETH: Ho
sentito gridare la civetta e cantare i grilli. Ma tu, hai parlato?
MACBETH: Quando?
LADY MACBETH:
Ora.
MACBETH: Mentre
scendevo?
LADY MACBETH: Sì.
MACBETH: Zitta! Chi dorme nella seconda camera?
LADY MACBETH: Suo figlio.
MACBETH: E' una
vista dolorosa questa! (Si
guarda le mani)
LADY
MACBETH: Stolto pensiero dire che è una
vista dolorosa.
MACBETH: C'è uno
che nel sonno ha riso; e un altro ha gridato:
"All'assassinio!"
così forte che tutti e due si sono svegliati. Io mi sono fermato ad ascoltarl,i
ma essi hanno detto le loro preghiere e si sono rimessi a dormire. Uno poi ha gridato: "Dio ci benedica!" e l'altro ha risposto: "Amen!"come se avessero visto le mie
mani di carnefice. Quando hanno detto: "Dio ci benedica!"io non sono riuscito a rispondere: "Amen!".
LADY MACBETH: Non
farci caso!
MACBETH: Ma perché io non ho potuto pronunziare la
parola "Amen"? Io avevo un
supremo bisogno di benedizione ma quell’ "Amen" m'è rimasto in gola.
LADY MACBETH: Non
è il caso di preoccuparsi: così diventeremo pazzi.
MACBETH: Poi mi è
sembrato di sentire una voce gridare: "Non
dormirai più! Macbeth ha ucciso il sonno!"... il sonno innocente, il sonno
che ravvia il filo arruffato delle umane cure, il sonno che è la morte della
vita d'ogni giorno, il bagno ristoratore della dura fatica, il balsamo delle
anime afflitte, il principale nutrimento nel banchetto della vita.
LADY MACBETH: Che cosa vuoi dire?
MACBETH: Quella
voce continuava a gridare: "Non
dormirai più! Macbeth ha ucciso il sonno.
Macbeth non dormirà più!".
LADY MACBETH: Chi gridava così? Via, mio forte signore! Vai, prendi dell'acqua e lavati dalla mano questa
sozza testimonianza. Perché hai portato via questi pugnali? Essi devono restar
là: va’ riportaie e imbratta di sangue i
servi che dormono.
MACBETH: Io là
non ci ritorno: ho terrore di pensare a quello che ho fatto, non ho il coraggio
di rivederlo.
LADY MACBETH: Malato
nella volontà! Dammi i pugnali. I morti e gli addormentati non sono altro che
figure dipinte: e solamente all'occhio dei bambini mette paura un diavolo
dipinto. S'egli sanguina indorerò del suo sangue il viso dei servi, poiché essi
devono sembrare i colpevoli.
(Esce.
Bussano di dentro)
MACBETH: Che cosa sono questi colpi? Perché ogni rumore
mi spaventa? Che mani sono queste qui? Ah! esse mi strappano gli occhi! Tutto
l'oceano riuscirà a lavar questo sangue dalle mie mani? No … piuttosto queste
mani tingeranno di sangue tutti i mari, trasformando l’azzurro in rosso vivo!
(Rientra
LADY MACBETH)
LADY MACBETH: Le
mie mani sono del colore delle tue: ma io mi vergognerei di avere il cuore bianco
come il tuo. (Bussano) Sento battere alla porta d'ingresso a sud;
rientriamo in camera nostra. Un po' d'acqua basterà a lavarci: vedi com’è facile!
(Bussano) Senti; bussano ancora. Metti la veste da camera. Non ti perdere
così miseramente nei tuoi pensieri.
MACBETH:
Conoscere quel che ho fatto! Sarebbe meglio che io non riconoscessi me stesso. (Bussano)
Svegliati, Duncan, a questi colpi! … Oh, come vorrei che tu lo potessi!
(Escono)